La denuncia e la verifica dell’impianto di messa a terra

La verifica dell'impianto di messa a terra è un obbligo a carico di ogni datore di lavoro.

Ogni impianto elettrico realizzato a regola d’arte (quindi nel rispetto delle norme di riferimento) ha una componente di sicurezza chiamata impianto di messa a terra. Per effetto del DPR 462/01, ogni datore di lavoro è tenuto a gestire tale impianto provvedendo alla denuncia a INAIL e alle verifiche periodiche.

Il datore di lavoro deve denunciare l'impianto di messa a terra entro 30 giorni dalla messa in esercizio.

La denuncia a INAIL dell’impianto di messa a terra

Entro 30 giorni dalla messa in esercizio dell’impianto di messa a terra, il datore di lavoro deve provvedere a denunciarlo all’INAIL. In pratica questo significa che il datore di lavoro deve:

  1. richiedere all’installatore la dichiarazione di conformità dell’impianto di messa a terra (generalmente inclusa nella dichiarazione di conformità dell’impianto elettrico);
  2. procedere a compilare una nuova istanza di “denuncia di impianto elettrico di messa a terra” attraverso il portale CIVA, a cui si accede tramite l’area riservata del sito INAIL.
Ogni impianto elettrico realizzato ad arte ha una componente di sicurezza chiamata impianto di messa a terra. Per effetto del DPR 462/01, ogni datore di lavoro è tenuto a gestire tale impianto provvedendo alla denuncia a INAIL.

A seguito della denuncia, INAIL provvede alla verifica di completezza della pratica, che deve comprendere il pagamento della prestazioni di verifica pari a € 30 (l’avviso di pagamento è generato automaticamente dal portale), quindi trasmette al datore di lavoro la ricevuta di immatricolazione dell’impianto di messa a terra.

Verifica periodica della messa a terra

Il datore di lavoro deve inoltre far sottoporre l’impianto di messa a terra a verifica periodica da parte di soggetti abilitati. L’abilitazione è attestata mediante decreto del Ministero dello sviluppo economico, consultabile sul sito ministeriale oppure da richiedere al soggetto abilitato individuato.

Il datore di lavoro deve inoltre far sottoporre l'impianto di messa a terra a verifica periodica da parte di soggetti abilitati.

La verifica periodica ha frequenza quinquennale, tranne che per gli impianti di messa a terra installati

  1. nei cantieri;
  2. in locali adibiti a uso medico;
  3. in ambienti a maggior rischio in caso di incendio (elevato carico di incendio o presenza di attività soggette ai controlli dei Vigili del Fuoco ai sensi del D.P.R. 151/2011);

per i quali la frequenza di verifica è biennale.

Comunicazione a INAIL del soggetto abilitato

Il DPR 462/01 prevede che il datore di lavoro comunichi tempestivamente a INAIL, per via informatica, il nominativo dell’organismo che ha incaricato di effettuare le verifiche. Tale comunicazione avviene mediante una sezione dedicata del portale CIVA. Di fatto non è definito un arco temporale specifico entro cui provvedere, ma suggerisco di procedere non appena ricevuto il verbale di verifica dell’impianto da parte del soggetto abilitato e incaricato.

Il DPR 462/01 prevede che il datore di lavoro comunichi tempestivamente a INAIL, per via informatica, il nominativo dell’organismo che ha incaricato di effettuare le verifiche.

Comunicazione a INAIL di modifiche sostanziali e cessazione dell’impianto

Sempre per effetto del DPR 462/01, il datore di lavoro è tenuto a comunicazione tempestivamente a INAIL:

  • le modifiche sostanziali dell’impianto di messa a terra, intese come ampliamento e/o trasformazione;
  • la cessazione dell’impianto (la messa fuori servizio o la demolizione).

Entrambi questi tipi di comunicazioni devono essere gestite tramite il portale CIVA.

Le modifiche sostanziali dell'impianto di messa a terra, intese come ampliamento e/o trasformazione, devono essere comunicate a INAIL.

Se l’impianto è condominiale

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia disponibilità giuridica (come proprietario o come affittuario) di un ambiente di lavoro che ricade in un contesto condominiale, potrebbe non disporre della documentazione inerente l’impianto di messa a terra in quanto questo è di norma comune per l’intero condominio. In questo caso, non sarà il datore di lavoro a dover gestire le pratiche, ma l’amministratore di condominio e il datore di lavoro potrà chiedere evidenza della gestione a quest’ultimo.

Registro dei controlli dei sistemi antincendio

Il registro dei controlli antincendio deve contenere le registrazioni di controlli e manutenzioni sui sistemi antincendio presenti nel luogo di lavoro.

Dal 25 settembre 2022 il datore di lavoro deve disporre di un registro dei controlli dove siano annotati i controlli periodici e gli interventi di manutenzione su impianti, attrezzature ed altri sistemi di sicurezza antincendio. Come deve essere realizzato? Chi lo deve compilare? Con quale frequenza?

I riferimenti normativi

Le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi (DPR 151/2011) lo hanno sempre avuto tra i propri obblighi. Con il decreto 1 settembre 2021, l’obbligo di registrazione dei controlli sui sistemi antincendio è stato introdotto in modo generalizzato in tutti gli ambienti di lavoro.

Controlli, verifiche e manutenzioni antincendio devono essere effettuati da personale specializzato.

La circolare n. 16579 del 7 novembre 2022 del Ministero dell’Interno (Direzione centrale per la prevenzione e la sicurezza tecnica del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile) ha stato ribadito che l’obbligo di esecuzione di sorveglianza, manutenzione e controllo dei sistemi antincendio e la relativa registrazione è in vigore dal 25 settembre 2022, mentre è rinviata al 25 settembre 2023 solo l’entrata in vigore dell’obbligo di qualifica dei manutentori.

Tipologie di interventi sui sistemi antincendio

Si distinguono tre tipologie di interventi: controllo periodico, manutenzione e sorveglianza.

  1. Il controllo periodico è l’insieme delle operazioni che si effettuano “con frequenza non superiore a quella indicata da disposizioni, norme, specifiche tecniche o manuali d’uso e manutenzione per verificare la completa e corretta funzionalità di impianti, attrezzature e altri sistemi di sicurezza antincendio“.
  2. La manutenzione è l’intervento tecnico che consente di ripristinare un’anomalia o un mal funzionamento.
  3. Infine, la sorveglianza è l'”insieme di controlli visivi atti a verificare, nel tempo che intercorre tra due controlli periodici, che gli impianti, le attrezzature e gli altri sistemi di sicurezza antincendio siano nelle normali condizioni operative, siano correttamente fruibili e non presentino danni materiali evidenti“.
Ogni elemento dei sistemi di sicurezza antincendio deve essere sottoposto a controllo secondo la norma tecnica di riferimento.

Mentre controlli e manutenzione devono essere eseguiti da manutentori qualificati, la sorveglianza può essere effettuata dai lavoratori normalmente presenti nell’ambiente di lavoro, adeguatamente istruiti e mediante idonee checklist.

Il registro dei controlli dei sistemi antincendio, in pratica

Per adempiere agli obblighi il datore di lavoro non deve necessariamente provvedere in prima persona a ogni passaggio, ma può formalizzare incarichi e formazione, cioè provvedere attraverso un sistema di deleghe.

Nel registro dei controlli antincendio devono essere incluse anche le attività di sorveglianza da parte del personale aziendale.

Un esempio operativo:

  1. il datore di lavoro, direttamente o tramite il proprio ufficio acquisti, conferisce un incarico di controllo e manutenzione dei sistemi antincendio a un fornitore specializzato (quindi in possesso di abilitazione ai sensi della lettera G del D.M. 37/08 e, dal 25 settembre 2023, in possesso delle necessarie qualifiche del personale), comprensivo della predisposizione e compilazione del registro dei controlli. La frequenza della verifica la definiranno sulla base delle norme tecniche di riferimento (ex. controllo semestrale per gli estintori, collaudo in funzione dell’estinguente);
  2. il datore di lavoro, direttamente o tramite l’RSPP o l’ufficio sicurezza, si accerta che il registro sia predisposto, compilato e accessibile in caso di controlli da parte gli organi di vigilanza;
  3. il datore di lavoro, direttamente o tramite i propri dirigenti, predispone, con il supporto del fornitore di cui al punto 1 e del RSPP, una checklist per la sorveglianza dei sistemi antincendio;
  4. il datore di lavoro, direttamente o tramite i propri dirigenti, individua e incarica formalmente i lavoratori addetti alla sorveglianza dei sistemi antincendio;
  5. il datore di lavoro, direttamente o tramite l’RSPP, provvede a formare i lavoratori addetti alla sorveglianza su frequenza (generalmente mensile), modalità di compilazione e conservazione della checklist di cui al punto 3.

Ispettorato Nazionale Lavoro: chiarimenti su sospensione attività

L'Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato due circolari e una nota di chiarimento in merito alla nuova disciplina del provvedimento di sospensione dell'attività ex art. 14 del D. L.vo 81/08.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) ha emanato due circolari e una nota di chiarimento in merito alla nuova disciplina del provvedimento di sospensione dell’attività ex art. 14 del D. L.vo 81/08. Dopo avere riassunto le previsioni del testo di legge, di seguito riporto i riferimenti e sintetizzo i contenuti dei chiarimenti dell’INL.

Prima circolare dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro in materia di sospensione dell'attività.

Circolare n. 3/2021 del 09/11/2021

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro evidenzia 4 punti.

  1. La nuova disciplina del provvedimento di sospensione non prevede più una discrezionalità di applicazione da parte del personale ispettivo, cioè la sospensione è imposta in caso di accertamento delle violazioni che la prevedono. Resta in capo all’ispettore la valutazione circa l’opportunità di farne decorrere gli effetti in un momento successivo, come le ore dodici del giorno lavorativo successivo o alla cessazione dell’attività lavorativa in corso che non può essere interrotta, salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità. Per cui, di norma, il provvedimento di sospensione per motivi di salute e sicurezza dovrà essere adottato con effetto immediato.
  2. In caso di lavoro irregolare la soglia si abbassa dal 20 al 10% dei lavoratori e la percentuale viene calcolata sul numero di lavoratori presenti sul luogo di lavoro al momento dell’accesso ispettivo, quindi l’eventuale regolarizzazione durante l’ispezione non ha valore e il provvedimento non può essere evitato. La violazione dell’obbligo di comunicazione preventiva all’assunzione è però da escludere per i soggetti per i quali non sussista tale obbligo, come nel caso di soci e coadiuvanti familiari che, tuttavia, vengono conteggiati per definire il numero complessivo dei lavoratori presenti e rispetto al quale calcolare la percentuale di irregolari.
  3. L’elenco delle violazioni in materia di salute e sicurezza individuate nell’Allegato I è esaustivo e tassativo, non esemplificativo.
  4. Gli effetti del provvedimento di sospensione sono circoscritti alla singola unità produttiva rispetto ai quali sono stati verificati i presupposti per la sua adozione il che, nel caso dell’edilizia, equivale al singolo cantiere o ai singoli lavoratori interessati dalla violazione (ex. solo il personale non formato o addestrato o non in possesso dei necessari dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto).
Seconda circolare dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro in materia di sospensione dell'attività.

Circolare n. 4/2021 del 09/12/2021

L’INL sottolinea la necessità di un coordinamento con le ASL e l’opportunità di procedere, laddove ricorrano sia violazioni di cui all’Allegato I sia fattispecie di lavoro “nero”, all’adozione di un unico provvedimento di sospensione e di un unico provvedimento di revoca.

In chiusura della circolare viene inoltre specificato che, in caso di adozione del provvedimento di sospensione, dato che il provvedimento evidenzia la sostanziale assenza di un sistema di sicurezza aziendale, gli ispettori dovranno valutare, successivamente alla revoca del provvedimento di sospensione, l’estensione dell’accertamento a
tutti i profili di competenza e in particolare a quelli attinenti alla salute e sicurezza
, attivando anche nuovi accessi e avvalendosi, ove necessario, delle Unità di progetto Sicurezza già costituite ovvero delle opportune sinergie con le ASL.

Per il resto la circolare fornisce le condizioni di dettaglio in cui può essere adottato il provvedimento di sospensione per ciascuna delle violazioni di cui all’Allegato I.

Per esempio, in relazione alla mancata redazione del DVR viene specificato che l’adozione del provvedimento di sospensione è possibile solo in caso di accertata assenza di DVR, mentre nel caso in cui l’impresa segnalasse che il documento è conservato in altro luogo il provvedimento dovrebbe avere una decorrenza differita alle ore 12:00 del giorno lavorativo successivo, termine entro il quale il datore di lavoro potrà provvedere all’eventuale esibizione del documento e, nel caso in cui il DVR rechi data certa antecedente all’emissione del provvedimento di sospensione, sarà possibile procedere all’annullamento dello stesso.

Terza circolare dell'Ispettorato Nazionale del Lavoro in materia di sospensione dell'attività.

Nota INL n. 1159 del 07/06/2022

La nota risponde al quesito in merito all’applicabilità del provvedimento nel caso in cui l’interruzione delle attività “potrebbe comportare gravi conseguenze ai beni ed alla produzione (ad es. nel settore agricolo o in quello zootecnico) nonché la compromissione del regolare funzionamento di un servizio pubblico“.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha precisato che:

  • il provvedimento di sospensione non va adottato quando l’interruzione dell’attività svolta dall’impresa determini a sua volta una situazione di pericolo per l’incolumità dei lavoratori della stessa o delle altre imprese che operano nell’ambiente di lavoro;
  • la mancata adozione del provvedimento di sospensione è da considerare una estrema ratio e il personale ispettivo deve valutare ogni fattispecie e, in caso non adotti la sospensione, deve motivare adeguatamente la scelta;
  • si può ritenere motivata la mancata adozione della sospensione per un servizio pubblico in assenza di valide alternative che possano garantire l’esercizio di diritti spesso di rango costituzionale (ex. attività di trasporto, di fornitura di energia elettrica), così come per l’attività di allevamento di animali da cui deriverebbero conseguenze di natura igienico sanitaria legate al mancato accudimento;
  • nel caso in cui l’adozione del provvedimento non abbia ragioni per essere esclusa, ma la sua adozione possa comportare significativi danni per ragioni tecniche, sanitarie o produttive (ex. per l’interruzione di cicli produttivi avviati o danni agli impianti per l’improvvisa
    interruzione), è opportuno considerare di posticipare gli effetti della sospensione in un momento successivo a quello dell’adozione del provvedimento, come può essere la fine di un turno lavorativo o o del ciclo produttivo in corso dalla cui interruzione possano derivare conseguenze gravi di natura economica (ex. raccolta dei frutti maturi, vendemmia in corso) e sempre che dal posticipo degli effetti della sospensione non derivino rischi per la
    salute dei lavoratori o dei terzi o per la pubblica incolumità.

Sospensione dell’attività ex art. 14 del TUS

L'art. 14 del TUS relativo al provvedimento di sospensione dell'attività è stato modificato a dicembre 2021.

Tra le ultime modifiche (dicembre 2021) al Testo Unico Sicurezza, voglio portare la tua attenzione a quelle che hanno riguardato l’art. 14 (“Provvedimenti degli organi di vigilanza per il contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori“), relativo alla sospensione dell’attività imprenditoriale. Ti invito ad approfondire la questione perché tu possa avere chiaro quali violazioni espongono al provvedimento della sospensione dell’attività e come funziona l’applicazione del provvedimento.

La sospensione dell’attività da dicembre 2021

La sospensione dell’attività è un provvedimento che può essere adottato:

  • quando l’Ispettorato del Lavoro riscontra in fase di ispezione che almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulta occupato irregolarmente, ossia senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro oppure inquadrato come lavoratore autonomo occasionale in assenza delle condizioni richieste dalla normative
  • in caso di gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro di cui all’Allegato I accertate dall’ASL/ATS o dall’Ispettorato del lavoro.
Quando l'Ispettorato del Lavoro riscontra in fase di ispezione che almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulta occupato irregolarmente viene applicato il provvedimento della sospensione dell'attività.

Di seguito l’elenco delle violazioni individuate nell’Allegato I.

  1. Mancata elaborazione del documento di valutazione dei rischi (DVR)
  2. Mancata elaborazione del Piano di Emergenza ed evacuazione
  3. Mancata formazione e addestramento
  4. Mancata costituzione del servizio di prevenzione e protezione e nomina del relativo responsabile
  5. Mancata elaborazione piano operativo di sicurezza (POS)
  6. Mancata fornitura del dispositivo di protezione individuale contro le cadute dall’alto
  7. Mancanza di protezioni verso il vuoto
  8. Mancata applicazione delle armature di sostegno, fatte salve le prescrizioni desumibili dalla relazione tecnica di consistenza del terreno
  9. Lavori in prossimità di linee elettriche in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
  10. Presenza di conduttori nudi in tensione in assenza di disposizioni organizzative e procedurali idonee a proteggere i lavoratori dai conseguenti rischi
  11. Mancanza di protezione contro i contatti diretti ed indiretti (impianto di terra, interruttore magnetotermico, interruttore differenziale)
  12. Omessa vigilanza in ordine alla rimozione o modifica dei dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo
  13. Mancata notifica all’organo di vigilanza prima dell’inizio dei lavori che possono comportare il rischio di esposizione all’amianto
Gravi violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza del lavoro sono una delle causa di sospensione dell'attività.

Come si applica e che cosa comporta

Se in passato la sospensione interveniva in caso di reiterazione (ripetizione) della violazione, da dicembre 2021 il provvedimento di sospensione viene adottato da subito, nel momento in cui la violazione viene rilevata.

Per tutto il periodo di sospensione è vietata la contrattazione con la pubblica amministrazione e con le stazioni appaltanti, pertanto l’organo ispettivo dà comunicazione del provvedimento all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili. Inoltre il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione e a versare i relativi contributi ai lavoratori interessati dall’effetto del provvedimento di sospensione (ex. irregolari che devono essere regolarizzati o lavoratori da formare o da addestrare).

Unitamente al provvedimento di sospensione l’Ispettorato Nazionale del Lavoro può imporre specifiche misure che ritiene necessarie per far cessare il pericolo per la sicurezza o per la salute dei lavoratori durante il lavoro.

La revoca del provvedimento di sospensione richiede la risoluzione delle irregolarità e il pagamento di una somma aggiuntiva.

La revoca del provvedimento di sospensione richiede:

  • la regolarizzazione dei lavoratori, anche sotto il profilo degli adempimenti in materia di salute e sicurezza;
  • in caso delle violazioni di cui all’Allegato I, l’accertamento del ripristino di condizioni di lavoro salubri e sicuri e la rimozione delle conseguenze pericolose delle violazioni;
  • il pagamento di una somma aggiuntiva, pari agli importi previsti dall’art.14 e dall’Allegato I.

Nel caso in cui siano state riscontrate più violazioni, concernenti le fattispecie indicate nell’Allegato I e/o l’impiego di lavoratori “in nero”, l’importo utile alla revoca sarà dato dalla somma di quanto indicato accanto a ciascuna fattispecie.

E se gli ispettori sono a conoscenza dell’adozione, nei cinque anni precedenti, di un provvedimento di sospensione a carico della medesima impresa, anche sulla base della previgente normativa e anche in forza di violazioni diverse da quelle da accertate durante l’ultima ispezione, gli importi delle “somme aggiuntive” dovute saranno raddoppiati, evidenziando nel provvedimento la sussistenza della “recidiva” che ha dato luogo alla maggiorazione degli importi.

Preposto di fatto vs. preposto individuato

Il preposto di fatto è il soggetto che viene individuato come tale in funzione delle attività che svolge nella sua quotidianità a prescindere da una nomina formale.

Le modifiche al Testo Unico Sicurezza di fine 2021 hanno riportato l’attenzione sul tema dell’individuazione e della formazione dei preposti, mettendo in risalto la contrapposizione tra preposto di fatto e preposto nominato. Ma in cosa consiste questa contrapposizione? Che cosa comporta? È davvero una contrapposizione?

Preposto di fatto

Preposto lo è chi preposto lo fa” recita in modo molto esaustivo una vignetta online. Ci ricorda che, sin dalla sua pubblicazione, il D. L.vo 81/08 ha previsto che, in assenza di una specifica individuazione del preposto, questa possa avvenire in sede di giudizio sulla base del principio di effettività: sei preposto se svolgi i compiti del preposto, a prescindere dalla formazione ricevuta e da un atto formale di nomina.

Formare i preposti senza nominarla non garantisce la consapevolezza del proprio ruolo da parte dei lavoratori.

In termini operativi questo ha portato alla prassi aziendale di formare alcuni lavoratori come preposti, senza però procedere alla loro formale individuazione e nomina: svolgi attività di preposto e quindi ti formo come tale, ma non c’è scritto da nessuna parte (DVR, organigramma o nomina specifica) che sia proprio tu il preposto.

Allo stesso tempo il concetto di preposto di fatto ha fatto comprendere che non è sufficiente formare e nominare qualcuno per renderlo preposto, ma che per essere preposti si deve occupare una posizione gerarchica specifica, quindi avere responsabilità e autorità adeguate al ruolo.

Non è sufficiente formare e nominare qualcuno per renderlo preposto: si deve occupare una posizione gerarchica specifica, quindi avere responsabilità e autorità adeguate al ruolo.

Preposto individuato e nominato

Parallelamente alla prassi di formare i preposti senza nominarli, si è sviluppata quella di formarli e nominarli, quindi individuarli attraverso un atto formale che ricordasse compiti e responsabilità e richiedesse una firma per ricevuta. Anche se il Testo Unico Sicurezza non faceva in passato esplicito riferimento all’obbligo di individuazione dei preposti, la logica di molti è stata quella di garantire trasparenza e comunicazione dei ruoli, attuando il principio della delega. Forse anche sulla spinta delle richieste degli standard BS OHSAS 18001 e ISO 45001 relativi ai sistemi di gestione della salute e sicurezza sul lavoro.

Effettività vs. individuazione

Esiste una differenza rilevante tra preposto individuato e preposto nominato?

In termini formali sì, nella misura in cui il primo può essere un soggetto il cui nome sia stato riportato su un documento aziendale in corrispondenza della voce “preposto” senza avere dovuto sottoscrivere un incarico formale, mentre il secondo ha sottoscritto la sua nomina. In termini sostanziali quello che conta è che si tratta di un lavoratore al quale il datore di lavoro ha riconosciuto una funzione specifica e questo riconoscimento è formalizzato in un documento.

Il preposto individuato non è necessariamente nominato, la differenza la fa l'eventuale sottoscrizione di un incarico formale.

Cosa cambia con l’obbligo di individuazione del preposto

Due le novità principali:

  1. la mancata individuazione del preposto diventa violazione della norma e come tale motivo di contestazione in caso di illecito (con possibilità di coinvolgere in caso di mancata vigilanza la responsabilità di dirigenti e datori di lavoro);
  2. viene disincentivata la prassi di affidare la vigilanza in materia di sicurezza a figure di fatto, potenzialmente meno consapevoli dei propri compiti e delle proprie responsabilità, e incentivato un approccio che miri a organizzare in modo puntuale il servizio di prevenzione in azienda.

Piano di emergenza ed evacuazione e simulazioni

Il piano di emergenza ed evacuazione è un corollario della valutazione del rischio incendio ed esplosione.

Eccoci all’ultima parte dell’analisi dei 3 decreti antincendio del settembre 2021: dopo aver parlato di formazione, manutenzione dei dispositivi antincendio e valutazione del rischio, oggi voglio approfondire il tema del piano di emergenza ed evacuazione e delle simulazioni delle emergenze (che non sono solo una prova di evacuazione!).

Piano di emergenza ed evacuazione secondo il decreto 2 settembre 2021

Il piano di emergenza ed evacuazione è un corollario della valutazione del rischio incendio ed esplosione e serve per individuare la misure che devono essere adottate per la prevenzione e la protezione del rischio sia in condizioni di esercizio che in condizioni di emergenza.

Il piano di emergenza ed evacuazione deve definire le modalità di chiamata dei soccorsi esterni.

Le misure di prevenzione e protezione in esercizio

La nomina degli addetti alla gestione emergenze, la definizione delle procedure di esodo e delle azioni da porre in atto in caso di emergenza, l’informazione e la formazione del personale (non solo degli addetti antincendio!) e le esercitazioni antincendio sono tutte misure da porre in atto in condizioni di esercizio.

Questo significa che il piano di emergenza ed evacuazione non stabilisce solo ciò che deve essere fatto in caso di emergenza, ma anche tutti i passi necessari per prepararsi alla gestione dell’emergenza e che devono essere definiti e realizzati prima del verificarsi dell’emergenza stessa.

Il dettaglio di queste misure è definito nell’Allegato I al decreto 2 settembre 2021.

Il piano di emergenza ed evacuazione deve definire la modalità di comunicazione dell'emergenza a tutti i reparti aziendali.

Le misure di prevenzione e protezione in emergenza

L’Allegato II al decreto 2 settembre 2021 si occupa di tali misure: in parte vengono richiamati aspetti già citati nell’Allegato I, come la definizione delle vie d’esodo e le modalità di richiesta dei soccorsi esterni (chiamata ai Vigili del Fuoco), ma poi si pone l’accento su aspetti di dettaglio, come l’ubicazione di locali a rischio specifico, l’eventuale identificazione di ascensori utilizzabili in caso di emergenza e le modalità per fornire assistenza alle persone con esigenze speciali (ex. persone diversamente abili, donne in stato di gravidanza, anziani, bambini, persone con disabilità temporanea).

Si tratta in questo caso di aspetti pensati in condizioni di esercizio, ma destinati a essere messi in atto durante l’eventuale situazione di emergenza.

Le misure di prevenzione e protezione in emergenza comprendono le modalità per fornire assistenza alle persone con esigenze speciali.

Piano di emergenza ed evacuazione semplificato

Per gli esercizi aperti al pubblico ove

  1. sono occupati meno di 10 lavoratori;
  2. è prevista la presenza contemporanea di non più di 50 persone;
  3. non sono presenti attività soggette ai controlli di prevenzione incendi;

il datore di lavoro può predisporre misure semplificate per la gestione dell’emergenza costituite da planimetrie e indicazioni schematiche delle misure previste dall’Allegato II.

Non solo prove di evacuazione, ma simulazioni delle emergenze

Il decreto prevede che i lavoratori partecipino a esercitazioni antincendio con cadenza almeno annuale, salvo diverse indicazioni contenute nelle specifiche norme e regole tecniche di prevenzione incendi. Il personale la cui attività è essenziale al mantenimento delle condizioni di sicurezza del luogo di lavoro possono essere escluse dalle esercitazioni, ma prevedendo un meccanismo di rotazione.

Il decreto prevede che i lavoratori partecipino a esercitazioni antincendio con cadenza almeno annuale.

Le esercitazioni riguardano:

  1. le procedure di esodo;
  2. le procedure di primo intervento.

Il decreto specifica solo per i luoghi di lavoro di piccole dimensioni che le esercitazioni devono prevedere almeno:
– la percorrenza delle vie d’esodo;
– l’identificazione delle porte resistenti al fuoco, ove esistenti;
– l’identificazione e localizzazione dei dispositivi di allarme;
– l’identificazione e localizzazione delle attrezzature di estinzione.

Le esercitazioni devono essere ripetute in caso di variazione delle misure di prevenzione e protezione e e del sistema di esodo, anche se adottate a seguito di carenze riscontrate nel corso delle precedenti simulazioni, incremento significativo del numero dei lavoratori e dell’affollamento complessivo.

Le esercitazioni antincendio comprendono le procedure di esodo e di primo intervento.

Nelle esercitazioni si possono coinvolgere anche ulteriori persone presenti normalmente durante l’esercizio dell’attività (ex. utenti, pubblico, personale delle ditte di manutenzione, appaltatori) e nella loro programmazione si deve tenere conto delle situazioni di notevole affollamento e della presenza di persone con specifiche esigenze.

Infine, le esercitazioni devono essere documentate e, in caso di coesistenza di più imprese in uno stesso edificio, i datori di lavoro devono collaborare e coordinarsi per la realizzazione delle esercitazioni antincendio.

Perché la questione non è solo quella di raggiungere il punto di raccolta ma, in funzione delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro, di disattivare impianti, gestire eventuali persone infortunate o in difficoltà, trasmettere il messaggio di allarme in modo corretto e ai tutti i reparti…

Novità per la sicurezza antincendio: il decreto 03/09/21

Il decreto 03.09.2021, in vigore dal 28.10.2022, definisce i criteri di sicurezza antincendio per i luoghi di lavoro.

Dopo un’analisi sulle novità in materia di formazione antincendio e una in merito alla manutenzione di estintori e sistemi antincendio, eccoci alle novità più generali in materia di sicurezza antincendio: il decreto 3 settembre 2021, che entrerà in vigore il 28 ottobre 2022.

Che cos’è la sicurezza antincendio

L’insieme delle misure finalizzate a evitare l’insorgere di un incendio e a limitarne le conseguenze nel caso in cui si verifichi costituiscono la sicurezza antincendio. In termini più concreti si parla dei criteri di progettazione degli edifici, di gestione delle attività ordinarie e delle procedure di gestione delle emergenze.

Il decreto 3 settembre 2021 definisce i criteri di sicurezza antincendio in relazione ai luoghi di lavoro, con l’esclusione dei cantieri temporanei e/o mobili.

L'insieme delle misure finalizzate a evitare l'insorgere di un incendio e a limitarne le conseguenze nel caso in cui si verifichi costituiscono la sicurezza antincendio.

Le misure di sicurezza antincendio secondo il decreto 03 settembre 2021

Il datore di lavoro deve comprendere nel DVR la valutazione del rischio incendio e le relative misure di prevenzione e protezione, avendo cura di rendere la valutazione coerente e complementare alla valutazione del rischio esplosione.

Il decreto prevede che la valutazione del rischio incendio possa essere effettuata per i luoghi di lavoro a basso rischio d’incendio secondo criteri semplificati contenuti nell’allegato I al decreto stesso.

Il datore di lavoro deve comprendere nel DVR la valutazione del rischio incendio e le relative misure di prevenzione e protezione.

I luoghi di lavoro a basso rischio d’incendio sono definiti nello stesso allegato I e comprendono i luoghi ove non si svolgono attività soggette a controlli di prevenzione incendi (quindi tutte le attività non ricomprese nell’elenco dell’Allegato I al decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011) e che presentino tutti i seguenti requisiti aggiuntivi:

  • affollamento complessivo di 100 occupanti, dove l’occupante è una persona presente a qualsiasi titolo all’interno dell’attività;
  • superficie lorda complessiva 1000 m2;
  • piani situati a quota compresa tra -5 m e 24 m;
  • senza detenzione o trattamento di materiali combustibili in quantità significative (qf > 900 MJ/m2);
  • senza detenzione o trattamento di sostanze o miscele pericolose in quantità
    significative;
  • senza lavorazioni pericolose ai fini dell’incendio.
I luoghi di lavoro a basso rischio d'incendio sono definiti nell'allegato I al decreto 3 settembre 2021.

Per tutti gli altri luoghi di lavoro i criteri di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio sono quelli riportati nel decreto del Ministro dell’interno 3 agosto 2015 (“Approvazione di norme tecniche di prevenzione incendi, ai sensi dell’articolo 15 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139“).

Come e quando adeguare i luoghi di lavoro esistenti

I luoghi di lavoro esistenti alla data di entrata in vigore del decreto (28.10.2022) dovranno adeguarsi nei casi previsti dall’art.29, comma 3, del D. L.vo 81/08, e cioè:

  • in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori;
  • in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione;
  • a seguito di infortuni significativi;
  • quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

Il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato nel termine di trenta giorni dalle rispettive causali, ma il datore di lavoro deve comunque dare immediata evidenza, attraverso idonea documentazione, dell’aggiornamento delle misure di prevenzione e immediata comunicazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

La novità normativa non è forse un’evoluzione della prevenzione?

Novità manutenzione estintori e sistemi antincendio

Una sintesi delle novità per controllo e manutenzione di estintori e sistemi di sicurezza antincendio previste dal decreto 2 settembre 2021.

Dopo l’approfondimento sulla novità della formazione antincendio, eccomi pronta a parlarvi delle novità in materia di controllo e manutenzione di impianti, attrezzature e altri sistemi di sicurezza antincendio definite dal decreto 2 settembre 2021 che entrerà in vigore il 25.09.2022 (a eccezione della qualifica dei manutentori, prorogata al 25 settembre 2023 dal Decreto 15 settembre 2022). Per intenderci sono i riferimenti che interessano anche la manutenzione degli estintori.

Chi è responsabile della manutenzione di estintori, impianti e sistemi antincendio?

Il datore di lavoro!

Che deve quindi provvedere affinché la manutenzione sia:

  1. eseguita a cura di tecnici manutentori qualificati;
  2. registrata.

Resta in carico al datore di lavoro la predisposizione del registro dei controlli in cui devono essere annotati i controlli periodici e gli interventi di manutenzione, la verifica dell’aggiornamento e la sua disponibilità per gli organi di controllo. Questo non significa che il datore di lavoro debba materialmente provvedere alla predisposizione del registro e al suo aggiornamento, ma che deve sovrintendere a tutto il processo, accertandosi che venga messo in atto nel rispetto delle disposizioni di legge.

Resta in carico al datore di lavoro la predisposizione del registro dei controlli in cui devono essere annotati i controlli periodici e gli interventi di manutenzione, la verifica dell'aggiornamento e la sua disponibilità per gli organi di controllo.

Con quale frequenza devono essere eseguite le manutenzioni?

Le cadenze temporali di verifica sono definite da:

  1. norme e specifiche tecniche pertinenti, nazionali o internazionali;
  2. manuale d’uso e manutenzione dell’impianto, attrezzatura o sistema antincendio.

In sostanza il decreto non introduce o modifica le scadenze di controlli e manutenzioni, ma fornisce un elenco di norme tecniche di riferimento (Allegato I).

Come si diventa tecnico manutentore qualificato?

Il tecnico manutentore qualificato deve possedere requisiti di conoscenza, abilità e competenza. In particolare deve:

  • svolgere un percorso di formazione specifica, la cui durata dipende dalla tipologia di impianti, attrezzature e sistemi di sicurezza antincendio che si intende manutenere (definite nell’Allegato II del decreto);
  • essere sottoposto a una verifica di competenza che, se superata, consente il rilascio dell’attestazione di tecnico manutentore qualificato da parte delle strutture centrali o periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
  • mantenersi aggiornato sull’evoluzione tecnica e normativa degli impianti, delle attrezzature e degli altri sistemi di sicurezza antincendio.
Da settembre 2022 chi effettua le manutenzioni e i controlli di estintori e sistemi antincendio deve avere adeguato la propria qualifica.

Due i dettagli da aggiungere:

  1. i soggetti che alla data di entrata in vigore del decreto (25.09.2022) svolgono attività di manutenzione da almeno 3 anni sono esonerati dalla frequenza del corso e possono richiedere di essere sottoposti alla valutazione di competenza necessaria per ottenere l’attestazione;
  2. il decreto non definisce durata e frequenza di aggiornamento della formazione.

Sintetizzando, da settembre 2023 chi effettua le manutenzioni e i controlli deve avere adeguato la propria qualifica, mentre tutti i datori di lavoro devono accertarsi di ricorrere a personale qualificato. Da settembre 2022, invece, i datori di lavoro devono comunque predisporre/ far predisporre per tutti i sistemi antincendio aziendali i relativi registri di manutenzione e far eseguire la manutenzione nel rispetto delle norme e manuali di riferimento.

Accordo sulle molestie e la violenza sul posto di lavoro

L'Accordo sulle molestie e la violenza sul lavoro del 26.01.16 è una disposizione di legge vincolante per le aziende. Che cosa richiede?

Il 26 gennaio 2016 è stato recepito in Italia l’Accordo sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro, frutto di un’attività . Questo Accordo è vincolante al pari dell’Accordo sul telelavoro (16 luglio 2002) e di quello sullo stress lavoro correlato (8 ottobre 2004), anche se è meno conosciuto.

Molestie sul lavoro: che cosa si intende

Si parla di molestie quando uno o più individui subiscono ripetutamente e deliberatamente

  • abusi (forma fisica di molestia);
  • minacce e/o umiliazioni (forme verbali di molestia)

in un contesto di lavoro.

Perché si configurino le molestie sul lavoro sono necessarie due condizioni:

  1. la ripetizione dell’atto di abuso, minaccia e/o umiliazione;
  2. la volontà di chi lo attua.
Si parla di molestie quando uno o più individui subiscono ripetutamente e deliberatamente abusi, minacce e/o umiliazioni sul luogo di lavoro.

Violenza sul lavoro: in che cosa consiste

Si verifica una violenza quando uno o più individui sono aggrediti in contesto di lavoro, sia che l’autore dell’aggressione porti a compimento il gesto sia che, per ragioni diverse, la situazione non evolva dalla fase iniziale a quella di effettiva aggressione della vittima.

Da chi possono provenire minacce e violenza

Tra i potenziali autori di minacce e violenza sul lavoro non sono compresi solo colleghi, superiori o sottoposti, ma anche soggetti “terzi” comunque appartenenti al contesto lavorativo. Nello specifico l’Accordo richiama tre figure:

  1. i clienti, comprendendo così tutte le professioni che si trovano a lavorare con il pubblico;
  2. i pazienti, includendo tutte le professioni sociali, di assistenza e cura;
  3. gli studenti, considerando non solo ogni contesto educativo ma anche genitori e parenti.
L'Accordo del 26 gennaio 2016 prevede che in ogni contento lavorativo venga effettuata un valutazione del rischio specifico relativamente a molestie e violenza sul lavoro.

Molestie e violenza sul lavoro: come riconoscerle

Oltre agli aspetti legati alla definizione e ai soggetti che possono agire molestie o violenza, risulta utile tenere in considerazione 4 criteri descritti;

• la natura della molestia o della violenza, che può essere fisica, psicologica e/o sessuale;
• la frequenza con cui vengono poste in essere, per cui si può trattare di episodi isolati (ma ripetuti o comportamenti sistematici/abituali;
• i soggetti che li hanno posti in essere, che possono essere superiori, subordinati, colleghi di pare grado o soggetti terzi;
• l’intensità di molestie e violenza che comprendono tutto lo spettro compreso tra i casi minori di mancanza di rispetto ad atti gravi, qualificabili come reati e che richiedono
l’intervento delle autorità pubbliche.

Questi criteri aiutano solo a individuare tutte le possibili forme di molestia o di violenza e non servono per classificare l’accaduto. Questo perché la finalità dell’Accordo è quella di tutelare la dignità della persona e la sua salute, agendo a garanzia di un ambiente di lavoro non ostile.

Bisogna sensibilizzare il personale in merito alla necessità di non sottovalutare le dinamiche nelle quali è coinvolto e quindi di segnalarle tempestivamente a partire da eventuali minacce, che sono già considerate molestie.

Molestie e violenza sul lavoro: cosa fare

L’Accordo del 26 gennaio 2016 prevede che in ogni contento lavorativo venga effettuata un valutazione del rischio specifico e si definiscano le misure formative e organizzative da porre in atto per prevenire il manifestarsi molestie e violenze sul lavoro e quelle necessarie per gestirle nel caso si verificassero.

Il primo passo di tali misure è la sensibilizzazione in merito:

  1. alla necessità di non sottovalutare le dinamiche nelle quali si è coinvolti e quindi di segnalarle tempestivamente a partire da eventuali minacce, che sono già considerate molestie;
  2. alla possibilità di denunciare le umiliazioni subite senza alcun timore in merito alla necessità di provare che abbiano uno specifico obiettivo o che siano attuate per un preciso intento persecutorio, in quanto il loro verificarsi è sufficiente per legittimare la segnalazione.
L'Accordo del 26 gennaio 2016 prevede che in ogni contento lavorativo si definiscano le misure formative e organizzative da porre in atto per prevenire il manifestarsi molestie e violenze sul lavoro e quelle necessarie per gestirle nel caso si verificassero.

In termini operativi, le procedure hanno l’obiettivo di indicare le modalità con cui chi ha subito molestia o violenza può denunciare l’accaduto e avere garanzia che:

  • i referenti procedano con discrezione per proteggere dignità e riservatezza di tutte le parti coinvolte, senza rendere nota alcuna informazione a persone non coinvolte nl caso e ascoltando e trattando con correttezza e imparzialità tutte le parti coinvolte;
  • sia possibile avere l’assistenza esterna da parte di strutture territoriali individuate dalle parti sociali;
  • i casi segnalati saranno esaminati e gestiti senza ritardo ingiustificato;
  • le false accuse non saranno tollerate e potranno dare luogo a un’azione disciplinare e che quindi è necessario che i casi segnalati siano fondati su informazioni particolareggiate.
Le procedure aziendali per la gestione di segnalazioni di molestie o violenza sul lavoro possono includere una fase di confronto, assistenza e consulenza supportata da una persona indicata congiuntamente dalle parti sociali firmatarie dell'Accordo.

In merito all’assistenza esterna di strutture specializzate, le procedure aziendali possono includere una fase di confronto, assistenza e consulenza supportata da una persona indicata congiuntamente dalle parti sociali firmatarie dell’Accordo (Confindustria, CGIL, CISL e UIL).

Qualora il caso denunciato venga accertato, l’organizzazione deve:

  • adottare misure adeguate nei confronti di colui o coloro che hanno poste in essere molestie e/o violenza, come l’azione disciplinare del licenziamento, nel rispetto delle disposizioni del contratto collettivo di lavoro applicato nell’impresa;
  • rispettare i provvedimenti previsti dalle autorità pubbliche nel caso in cui l’accaduto si configuri come reato.

E tu, hai incluso la valutazione del rischio di molestie e violenza nel DVR della tua azienda?

Attenzione al corso “breve” dell’RSPP datore di lavoro

la formazione per gli RSPP datori di lavoro è di più facile gestione, ma si basa sul requisito essenziale che chi svolge la funzione di RSPP sia anche il datore di lavoro dell'impresa.

Si parla di RSPP datore di lavoro nei casi in cui il titolare dell’impresa decide di svolgere direttamente il ruolo di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione. Capita spesso nelle imprese di dimensioni contenute in cui il datore di lavoro è attivo nella gestione dell’attività e anche negli aspetti operativi. A volte è una strategia per contenere i costi di consulenza, altre volte frutto del desiderio di controllare in prima persona l’attività senza doversi confrontare con figure esterne.

Il fatto che il corso per gli RSPP che sono datori di lavoro sia nettamente più breve rispetto al corso per i cosiddetti RSPP “esterni” sembra fare gola ad alcune piccole aziende che però, se non fanno attenzione, rischiano di ritrovarsi con una formazione non valida per il ruolo specifico.

La formazione “breve” del RSPP datore di lavoro

Il fatto che il corso per gli RSPP che sono datori di lavoro sia nettamente più breve rispetto al corso per i cosiddetti RSPP "esterni" sembra fare gola ad alcune piccole aziende che rischiano però poi di ritrovarsi con una formazione non valida per il ruolo specifico.

Il datore di lavoro che vuole svolgere l’incarico di RSPP deve frequentare un corso di formazione di 16, 32 o 48 ore a seconda della classe di rischio dell’attività (definita attraverso il codice ATECO), e un aggiornamento quinquennale rispettivamente di 6, 10 o 14 ore.

Il corso per gli RSPP che non sono datori di lavoro, invece, si articola in un modulo A di 28 ore, un modulo C di 24 ore e modulo B di durata compresa tra 60 e 64 ore a seconda del settore o dei settori per i quali si vuole ottenere la qualifica. A questo si aggiunge l’obbligo di formazione continua per cui, in ogni istante, l’RSPP “esterno” deve essere in grado di dimostrare di avere seguito nel quinquennio precedente almeno 40 ore di corsi di aggiornamento.

Quindi sì, la formazione per gli RSPP datori di lavoro è di più facile gestione, ma si basa sul requisito essenziale che chi svolge la funzione di RSPP sia anche il datore di lavoro dell’impresa.

Se non è corretto, è un rischio

Il fatto che il corso per gli RSPP che sono datori di lavoro sia nettamente più breve rispetto al corso per i cosiddetti RSPP "esterni" sembra fare gola alle piccole aziende con più soci.

La maggiore brevità del corso per RSPP datore di lavoro rispetto a quello in modulo A, B e C sembra fare gola alle piccole aziende in cui, oltre al titolare con responsabilità in materia di salute e sicurezza (datore di lavoro), sono presenti altri soci.

Capita cioè che un socio che non ricopre il ruolo di datore di lavoro venga nominato come RSPP e assolva l’obbligo di formazione partecipando al corso per RSPP datore di lavoro anziché al corso suddiviso in modulo A, B e C.

Questa pratica è diffusa, ma è scorretta!

L’eccezione e la verifica “salva tutto”

Ci sono casi di società con più soci con eguali poteri di rappresentanza e amministrazione della società: ciascun socio è di fatto datore di lavoro e, come tale, può ricoprire il ruolo di RSPP e seguire il corso per RSPP datore di lavoro. Ma questi casi sono pochi perché con più datori di lavoro si rischia che, in caso di violazioni in materia di salute e sicurezza, le sanzioni si moltiplichino, perché ciascun socio/ datore di lavoro è passibile di sanzione.

Ci sono casi di società con più soci con eguali poteri di rappresentanze e amministrazione della società: ciascun socio è di fatto datore di lavoro e, come tale, può ricoprire il ruolo di RSPP e seguire il corso per RSPP datore di lavoro.

Senza entrare nel dettaglio delle forme giuridiche, il modo migliore per verificare la situazione e capire se si stanno effettuando scelte attente è quella di seguire questi passi:

  1. verificare, magari con il supporto del proprio commercialista, se esista un’effettiva differenza di poteri di rappresentanza e amministrazione dell’impresa tra i soci;
  2. se la differenza esiste, chi si qualifica come datore di lavoro svolge anche l’incarico di RSPP e si fa il corso “breve”, oppure un socio lavoratore viene nominato Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione dal socio- datore di lavoro e segue il corso suddiviso in moduli A, B e C;
  3. se la differenza non esiste, prima di pensare all’incarico e alla formazione da RSPP, può valere la pena di formalizzare una delega come datore di lavoro a uno solo dei soci, e poi decidere il da farsi come per il punto 2. Se, invece, non si vogliono modificare gli aspetti di responsabilità, allora si tratta di capire quale socio vuole svolgere l’incarico di RSPP. A quel punto può seguire il corso “breve” senza rischi di contestazione della sua validità.

Tutto chiaro?