Verifica delle competenze ed efficacia della formazione

verificare le competenze non equivale ad accertare l'efficacia della formazione.

Formare, formare, formare!“, questo l’imperativo della salute e sicurezza sul lavoro che nasce dall’idea, condivisibile, che chi più sa meno sbaglia. Eppure sapere, quindi avere conoscenze e competenze, non sempre equivale a fare, ossia mettere in atto i comportamenti e le soluzioni richieste o conformi a quanto appreso. Detto in altre parole, verificare le competenze non equivale ad accertare l’efficacia della formazione.

Ma perché preoccuparsene? È un obbligo di legge?

La verifica delle competenze

La formazione è concepita dal legislatore come lo strumento attraverso il quale i lavoratori acquisiscono “le conoscenze e competenze necessarie in materia di salute e sicurezza sul lavoro” (art. 37, comma 13).

Per chi avesse italicamente pensato di risolvere la questione in modo solo formale, il legislatore ha esplicitato tramite gli Accordi Stato- Regioni che i percorsi formativi si devono concludere con una prova di verifica obbligatoria, orale o scritta (colloquio o test), “finalizzata a verificare le conoscenze relative alla normativa vigente e le competenze tecnico- professionali acquisite in base ai contenuti del percorso formativo” (Accordo Stato Regioni del 21/12/2011). Cioè al legislatore non interessa tanto l’attestato, che è comunque un documento obbligatorio di registrazione della formazione, quanto che chi è stato formato abbia imparato quel che doveva.

Per chi avesse italicamente pensato di risolvere la questione della formazione in modo solo formale, il legislatore ha esplicitato tramite gli Accordi Stato- Regioni che i percorsi formativi si devono concludere con una prova di verifica obbligatoria, orale o scritta (colloquio o test), "finalizzata a verificare le conoscenze relative alla normativa vigente e le competenze tecnico- professionali acquisite in base ai contenuti del percorso formativo" (Accordo Stato Regioni del 21/12/2011).

Quindi la verifica delle competenze, che deve essere effettuata al termine del percorso di formazione attraverso un colloquio o un test scritto, è un obbligo di legge ed è lo strumento con cui si verifica che i lavoratori abbiano imparato la teoria.

Sapere e saper fare

L’idea che sapere non equivalga a saper fare è chiara già nel Testo Unico della sicurezza, che accompagna l’attività di formazione con quella di addestramento e ne prevede anche la definizione (art. 2, comma 1, lettera cc)).

La verifica dell’efficacia della formazione

Sono stati i sistemi di gestione prima e l’INAIL poi, tramite l’OT24 ora OT23, a far sorgere il problema dell’efficacia della formazione, concetto che supera la differenza tra sapere e saper fare e introduce la differenza tra sapere (teorico e pratico) e la sua attuazione effettiva e conforme.

INAIL di fatto risolve la questione proponendo la ripetizione del test di verifica delle competenze a distanza di almeno 2 mesi dalla chiusura del corso di formazione quale strumento di verifica dell’efficacia. Come a dire che se ti ricordi la teoria dopo un certo periodo di tempo, allora conosci la materia e sai come comportarti. A questa conclusione si arriva analizzando l’intervento C-7:

L’azienda con meno di 50 lavoratori ha adottato o mantenuto una procedura per la verifica dell’efficacia della formazione, in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che comprenda test di verifica in forma scritta sia al termine di ciascun intervento formativo sia successivamente secondo una tempistica prestabilita dalla procedura in modo tale che la verifica successiva sia svolta non prima di 2 mesi rispetto alla verifica di fine corso“.

Nell'ambito dei sistemi di gestione (non solo quelli per la salute e la sicurezza), l'efficacia della formazione viene osservata da un altro punto di vista rispetto a quello di INAIL, partendo dal presupposto che una formazione è efficace se ha come risultato comportamenti adeguati dei lavoratori.

Nell’ambito dei sistemi di gestione (non solo quelli per la salute e la sicurezza), invece, la questione viene osservata da un altro punto di vista, partendo dal presupposto che una formazione è efficace se ha come risultato comportamenti adeguati dei lavoratori. Quindi non conta soltanto ricordarsi quel che i corsi hanno insegnato, ma anche che gli insegnamenti vengano messi in pratica.

La differenza tra l’approccio di INAIL e quello dei sistemi di gestione non è un dettaglio trascurabile, in quanto si traduce in attenzioni e azioni diverse. Nel primo caso si parte del presupposto che un lavoratore che sa poi fa, quindi se un lavoratore, sottoposto a nuovo test di verifica delle competenze, non lo supera, lo si deve sottoporre a una nuova azione formativa, a prescindere dall’adeguatezza della sua operatività. Nel secondo caso, invece, ci si ritiene che la priorità siano i comportamenti adeguati e si considera l’ipotesi che comportamenti non adeguati di un lavoratore possano essere determinati non solo da insufficienza o inadeguatezza delle sue competenze.

In pratica la verifica dell’efficacia della formazione sicurezza nell’ambito dei sistemi di gestione prevede di effettuare delle verifiche sul campo e di indagare la causa di eventuali anomalie: e se al lavoratore non venissero messe a disposizione le attrezzature adeguate per mettere in atto quanto ha imparato? E se il lavoratore conoscesse la teoria ma avesse fatto propri i principi su cui questa si basa? Del resto la sicurezza non è fatta solo di formazione, ma anche di organizzazione e di cultura.

La tutela della vita umana è un obiettivo ambizioso e l'ambizione richiede impegno.

L’approccio di INAlL ha il grande vantaggio dell’univocità, quindi riduce i tempi decisionali e fornisce una soluzione certa al problema, anche se non sono certa sia la più… efficace! Sul versante opposto l’approccio dei sistemi di gestione, che sottolinea l’importanza di una costante “dedizione alla causa”. L’osservazione che questo approccio richiede molto più tempo e risorse potrebbe essere un pregiudizio o persino una scusa: se non fossero tempo e risorse a mancare, ma solo la volontà? La tutela della vita umana è un obiettivo ambizioso e l’ambizione richiede impegno.

Cosa significa rilevare le esigenze formative e come farlo

Rilevare le esigenze formative significa individuare i percorsi di formazione e addestramento necessari per garantire la competenza di una data persona nello svolgimento della sua attività e per mantenerla nel tempo. Ecco qualche consiglio su come fare.

La rilevazione delle esigenze formative è diventato il ritornello di molti, consulenti e organismi di controllo. La convinzione alla base di questa insistenza è che una persona formata sappia svolgere la propria attività in modo consapevole e responsabile, il che, soprattutto quando si parla di salute e sicurezza sul lavoro, significa che sa prevenire ogni possibile conseguenza negativa. In realtà formazione e consapevolezza non sono sinonimi, ma la prima è indubbiamente una via per poter raggiungere la seconda.

Che cosa significa rilevare le esigenze formative?

Significa individuare i percorsi di formazione e addestramento necessari per garantire la competenza di una data persona nello svolgimento della sua attività e per mantenerla nel tempo.

Significa quindi:

  • conoscere la formazione di cui sono in possesso i candidati/lavoratori;
  • individuare gli obblighi di legge che si applicano alla mansione specifica in termini di tipologia di corsi (ex. un diploma professionale, il cosiddetto patentino frigoristi o la comune formazione generale e specifica in materia di salute e sicurezza sul lavoro) e relativa frequenza di aggiornamento (triennale? Quinquennale? Non sono previsti obblighi di aggiornamento?);
  • individuare eventuali obblighi aggiuntivi definiti dall’azienda (ex. un’impresa può definire durata e frequenza di aggiornamento dei corsi di formazione più stringenti di quelli di legge ma, soprattutto, lo può fare nei casi in cui la normativa non definisce obblighi specifici o non fornisce indicazioni in merito);
  • verificare la corrispondenza tra la formazione dei candidati/ lavoratori e i requisiti di legge, tenendo conto anche della frequenza di aggiornamento prevista per legge;
  • definire un programma di formazione, quindi un documento che definisca quale personale deve frequentare un dato corso entro una scadenza definita.
Per rilevare le esigenze formative bisogna seguire solo 3 regole: archiviare la documentazione;
tenere sotto controllo le scadenze; mettere nero su bianco la programmazione dei corsi.

Come farlo?

Si devono seguire solo 3 regole:

  1. archiviare la documentazione che prova di quale formazione sia in possesso un dato lavoratore;
  2. tenere sotto controllo le scadenze;
  3. mettere nero su bianco la programmazione dei corsi da effettuare.

Il modo più efficace di archiviazione della documentazione di formazione prevede di procedere per singolo lavoratore, suddividendo la stessa per tipologia di corso e in ordine cronologico. Questo metodo richiede più impegno in fase iniziale, rispetto a una scansione cumulativa per tipologia di corso o solo per lavoratore, ma semplifica la consultazione da parte dell’azienda e anche di soggetti esterni (ex. i coordinatori per la sicurezza nei cantieri edili, gli organismi di controllo, i consulenti).

Non esiste un metodo infallibile e universale per gestire le scadenze. Tutto dipende dal numero di scadenze da monitorare e dalle preferenze di chi le deve tenere sotto controllo. Per esperienza posso dire che l’automatismo della gestione aumenta con la dimensione aziendale, così le piccole realtà tendono a usare carta e penna e, di anno in anno, riportano le scadenze sul calendario da scrivania; le realtà di medie dimensioni iniziano a caricare i dati su file Excel che consultano periodicamente; le realtà più grandi sfruttano gestionali aziendali o piattaforme online predisposte allo scopo, che possono anche inviare mail di avviso delle scadenze. Il mio consiglio è di partire da subito con uno strumento che sia facilmente migliorabile, quindi salterei la versione su carta e partirei direttamente da una versione informatizzata.

Non esiste un metodo infallibile e universale per gestire le scadenze, tutto dipende dal numero di scadenze da monitorare e dalle preferenze di chi le deve tenere sotto controllo.

Il programma di formazione, infine, deve avere alcuni elementi essenziali, ossia un elenco dei corsi a cui devono partecipare i lavoratori con associati i nominativi degli interessati, la data limite di erogazione del corso e, man mano che i corsi vengono effettuati, la data di effettiva esecuzione. Alcune imprese ritengono pratico specificare anche il soggetto presso il quale è stata fatta l’iscrizione e lo stato di avanzamento della formazione (ex. iscrizione da completare, iscrizione effettuata, data programmata). Altre lo suddividono per anno solare, per esempio predisponendo diversi fogli Excel, mentre altre procedono aggiungendo righe successive a una tabella inserita in un file di testo (Word o simili). Essenziale è conservare il documento che attesti l’avvenuta iscrizione al corso.

Tutte e tre queste attività devono essere effettuate con continuità, procedendo ad aggiornamenti continui, o comunque in funzione della variazione del personale, dell’approssimarsi delle scadenze e dell’erogazione dei corsi. La rilevazione delle esigenze formative accompagna l’attività aziendale nella sua quotidianità.

Le difficoltà e come affrontarle

Le difficoltà che si possono incontrare nella rilevazione delle esigenze formative sono essenzialmente tre:

  1. un lavoratore nuovo assunto dichiara di avere fatto un corso ma non consegna la documentazione;
  2. si dispone dell’attestato relativo all’aggiornamento di un dato corso, ma non di quello relativo al corso di formazione iniziale (ex. attestato di partecipazione al corso di aggiornamento di primo soccorso e non quello di partecipazione al corso iniziale);
  3. i soggetti che erogano la formazione e quelli che la verificano interpretano i contenuti dei corsi e gli obblighi di legge in modo diverso, con differenze a volte notevoli a livello territoriale.

Sono difficoltà oggettive che si può cercare di gestire ma che non si ha mai garanzia di risolvere positivamente.

Le difficoltà che si possono incontrare nella rilevazione delle esigenze formative sono essenzialmente tre. Sono difficoltà oggettive che si può cercare di gestire ma che non si ha mai garanzia di risolvere positivamente.

Mai accontentarsi di quanto viene dichiarato. Se quanto viene riferito non è supportato dalla documentazione necessaria (almeno un attestato di formazione con indicazione del contenuto del corso, durata e data del corso di formazione e nominativo del soggetto che l’ha tenuto) non si può considerare attendibile e si deve ripartire da zero, quindi far frequentare nuovamente il corso o il suo aggiornamento. Questo vale sia se non si riceve nessun attestato, sia se dispone dell’attestato di un corso di aggiornamento senza disporre dell’attestato di frequenza al corso iniziale. Prima di pensare al peggio, però, valutate di fare richiesta all’impresa presso la quale il lavoratore era occupato in precedenza oppure agli enti di formazione di riferimento o quelli indicati dal lavoratore stesso. A volte non si recupera l’attestato di partecipazione al corso ma una dichiarazione comprensiva di tutti i dati necessari e si ha così la prova della formazione di interesse.

La questione dell’interpretazione degli obblighi di legge prevede invece soluzioni meno standardizzabili. Il punto di partenza deve essere quello della convinzione: se si è consapevoli degli obblighi di legge e dei criteri di definizione delle frequenze di aggiornamento della formazione, allora bisogna essere disposti a sostenere e motivare la propria posizione. In questo caso un confronto diretto tra il soggetto che contesta la formazione o il suo aggiornamento e il consulente aziendale può consentire di appianare le divergenze o di individuare la soluzione operativa. Il secondo passo è quello di imparare dal confronto, dando per assodato che se più soggetti iniziano a seguire la stessa linea interpretativa, presto quella potrebbe prendere piede nel territorio e diventare una prassi riconosciuta, a prescindere da disposizioni di legge esplicite e definitive sull’argomento. In altre parole, una volta incontrato un ostacolo, valuta se non valga la pena aggiustare la tua linea interpretativa e avviare l’adeguamento della formazione aziendale.

Un approccio positivo resta la chiave del successo sul lungo termine.

Segnaletica stradale: le novità della formazione

Il 13 febbraio 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto interministeriale del 22 gennaio 2019, contenente i "criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare".

Il 13 febbraio 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto interministeriale del 22 gennaio 2019, contenente i “criteri generali di sicurezza relativi alle procedure di revisione, integrazione e apposizione della segnaletica stradale destinata alle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare“.

Entrato in vigore a marzo, a trenta giorni dalla pubblicazione, ha abrogato il Decreto interministeriale del 4 marzo 2013 di cui ha però mantenuto l’impianto:

  1. l’allegato 1 definisce i criteri minimi di sicurezza per la posa, il mantenimento e la rimozione della segnaletica di delimitazione e di segnalazione delle attività lavorative che si svolgono in presenza di traffico veicolare;
  2. l’art.3 prevede che i datori di lavoro assicurino che gli addetti all’attività di apposizione, integrazione e rimozione della segnaletica ricevano una informazione, formazione e addestramento specifici;
  3. l’allegato 2 disciplina la formazione, individuando i soggetti formatori, i requisiti dei docenti, i criteri di organizzazione dei percorsi formativi e i relativi articolazione, contenuti, metodologie didattiche e valutazione e verifica dell’apprendimento;
  4. l’art. 4 fornisce dettagli in merito ai requisiti dei dispositivi di protezione individuale, dei veicoli operativi e della segnaletica della zona di intervento (rinviando al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 10 luglio 2002).
L'allegato 2 del decreto 22.01.19 disciplina la formazione, individuando i soggetti formatori, i requisiti dei docenti, i criteri di organizzazione dei percorsi formativi e i relativi articolazione, contenuti, metodologie didattiche e valutazione e verifica dell'apprendimento.

Le novità della formazione sulla segnaletica stradale

Di seguito una tabella riassuntiva delle principali differenze in merito alla disciplina della formazione prevista dai due decreti.

una tabella riassuntiva delle principali differenze in merito alla disciplina della formazione prevista dai due decreti 2013 e 2019.

Interpello n. 5/2019: validità e aggiornamento della formazione precedente

L'assenza all'interno del decreto del 22.01.2019 di riferimenti alla formazione pregressa e di indicazioni in merito alla scadenza della "vecchia" formazione rispetto alle indicazioni contenute nel decreto del gennaio 2019 ha portato in una fase iniziale a orientamenti differenti da parte dei soggetti formatori.

L’assenza all’interno del nuovo decreto di riferimenti alla formazione pregressa e di indicazioni in merito alla scadenza della “vecchia” formazione rispetto alle indicazioni contenute nel decreto del gennaio 2019 ha portato in una fase iniziale a orientamenti differenti da parte dei soggetti formatori.

La questione si è però risolta in modo definitivo a luglio 2019 grazie all’Interpello n.5/2019 della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che fornisce un riscontro a un quesito presentato dall’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) sull’argomento.

La risposta della Commissione è chiara: “ gli attestati conseguiti precedentemente all’entrata in vigore del decreto interministeriale del 22 gennaio 2019 manterranno la loro validità fino alla scadenza prevista dalla previgente normativa“.

In sintesi:

  • la formazione erogata ai sensi del decreto del 4 marzo 2013 è valida e non richiede integrazioni/ adeguamenti al decreto del 22 gennaio 2019;
  • la sua scadenza resta però quadriennale e diverrà quinquennale solo a seguito di erogazione del corso di aggiornamento (che deve seguire le regole previste dal nuovo decreto).

Risorse gratuite

Gli otoprotettori sono DPI di III categoria

Il 21 aprile 2018 è entrato in vigore il Regolamento 2016/425 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sui dispositivi di protezione individuale (DPI). Il Regolamento ha abrogato la direttiva 89/686/CEE.

Con il nuovo Regolamento, un DPI conforme alla precedente direttiva può cambiare categoria di appartenenza. Esemplare il caso degli otoprettori (tappi e cuffie) che diventano DPI di III categoria.

La nuova definizione delle tre categorie dei DPI è contenuta nell’Allegato I del Regolamento e li distingue sulla base dei rischi da cui proteggono chi ne fa uso.

DPI di I categoria

I dispositivi che proteggono da:

  • lesioni meccaniche superficiali;
  • contatto con prodotti per la pulizia poco aggressivi o contatto prolungato con l’acqua;
  • contatto con superfici calde che non superino i 50 °C;
  • lesioni oculari dovute all’esposizione alla luce del sole (diverse dalle lesioni dovute all’osservazione del sole);
  • condizioni atmosferiche di natura non estrema.
La nuova definizione delle tre categorie dei DPI è contenuta nell'Allegato I del Regolamento 2016/425 e li distingue sulla base dei rischi da cui proteggono chi ne fa uso.

DPI di II categoria

Sono i DPI che non rientrano né nella I né nella III categoria.

DPI di III categoria

Sono i DPI che proteggono da rischi che possono causare morte o danni alla salute irreversibili e che sono connessi a

  • sostanze e miscele pericolose per la salute;
  • atmosfere con carenza di ossigeno;
  • agenti biologici nocivi;
  • radiazioni ionizzanti;
  • ambienti ad alta temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell’aria di almeno 100 °C;
  • ambienti a bassa temperatura aventi effetti comparabili a quelli di una temperatura dell’aria di – 50 °C o inferiore;
  • cadute dall’alto;  
  • scosse elettriche e lavoro sotto tensione;
  • annegamento;
  • tagli da seghe a catena portatili;
  • getti ad alta pressione;
  • ferite da proiettile o da coltello;
  • rumore nocivo.
I DPI di III categoria sono quelli che proteggono da rischi che possono causare morte o danni alla salute irreversibili. Tra questi rischi è compreso il rumore nocivo.

Gli otoprotettori

L’ultimo dei casi elencati è quello che riguarda gli otoprotettori, la cui funzione è quella di proteggere i lavoratori dal rumore. La nocività di questo fattore di rischio è determinata dal livello di esposizione: secondo l’art. 193 del D. L.vo 81/08, l’utilizzo deve essere previsto a partire da un livello di esposizione giornaliera pari a 80 dB(A) o, per i rumori che presentano brusche variazioni, un valore di pressione acustica istantanea di 135 dB(C). Questi dati si ricavano dalle valutazioni dell’esposizione al rumore, parte integrante del documento di valutazione dei rischi aziendale.

Obbligo di addestramento

Il Testo Unico Sicurezza (D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii.) impone all’art.77 comma 5 che il datore di lavoro provveda all’addestramento del personale che deve fare uso di DPI di III categoria.

L’addestramento non equivale alla formazione: addestrare significa dimostrare le modalità operative di utilizzo. Non esiste quindi un obbligo di frequenza a un corso di formazione per DPI di III categoria né una frequenza obbligatoria di aggiornamento, ma il percorso di formazione diviene la base per rendere comprensibili gli aspetti pratici. Il percorso formativo per i DPI di III categoria è quindi adeguato se comprende anche una parte pratica, operativa.

Il Testo Unico Sicurezza (D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii.) impone all'art.77 comma 5 che il datore di lavoro provveda all'addestramento del personale che deve fare uso di DPI di III categoria, quindi anche degli otoprotettori (tappi e cuffie).

Alla luce della nuova classificazione dei DPI e, quindi, dal 21 aprile 2018, il datore di lavoro deve essere in grado di dimostrare di aver addestrato il personale anche all’utilizzo degli otoprotettori.