La registrazione della verifica dei DPI

Il datore di lavoro deve consegnare i DPI e mantenerli in efficienza. Ecco qualche consiglio pratico per impostare l'attività con semplicità.

Non è sufficiente che il datore di lavoro fornisca i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) ai lavoratori, deve anche mantenerli in efficienza mediante “la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie e secondo le eventuali indicazioni fornite dal fabbricante“. Questo significa:

  1. informare i lavoratori su come utilizzare, conservare e pulire i DPI e anche su come richiederne di nuovi;
  2. fare una verifica dei DPI, e non solo di quelli di terza categoria.

Ecco qualche consiglio pratico per impostare l’attività di verifica in modo semplice ed efficace.

Scadenza dei DPI

Il primo aspetto da verificare è l'eventuale scadenza dei DPI: gli esempi tipici sono gli elmetti, che hanno scadenza di 5 o 7 anni a seconda del materiale con il quale sono realizzati, e i DPI anticaduta, che hanno invece scadenza decennale.

Il primo aspetto da verificare è l’eventuale scadenza dei DPI: gli esempi tipici sono gli elmetti, che hanno scadenza di 5 o 7 anni a seconda del materiale con il quale sono realizzati, e i DPI anticaduta, che hanno invece scadenza decennale. L’eventuale scadenza è riportata sull’etichetta o sul corpo del dispositivo: è necessario verificare i requisiti della fornitura prima di consegnarla ai lavoratori, prendendo nota della scadenza.

La scadenza viene espressa in forma di mese e anno di scadenza oppure come clessidra contenente il numero corrispondente agli anni per i quali il dispositivo può essere utilizzato, posta a fianco della data di fabbricazione. La scadenza si calcola infatti dalla data di produzione e non dalla data di acquisto o di messa in servizio (consegna) del dispositivo.

La scadenza non equivale sempre alla data di obbligo di dismissione del DPI, ma può indicare la data entro la quale il dispositivo deve essere sottoposto a revisione a cura del fabbricante o di personale competente, come nel caso dei DPI anticaduta. L’aspetto essenziale è non considerare la data di scadenza come indicativa e pensare che un DPI mai utilizzato o utilizzato solo saltuariamente possa essere mantenuto in servizio: la scadenza è tassativa.

Il modo più semplice per gestire la scadenza dei DPI è quella di predisporre un registro, magari con un file excel: un foglio excel per ogni tipologia di dispositivo (ex. elmetti, imbragature, cordini, APVR), e per ogni dispositivo riportare i dati relativi al lavoratore che lo ha in dotazione e la relativa data di scadenza.

Oltre al controllo della scadenza, la verifica dei DPI richiede altri due tipi di controllo: prima dell'uso e una verifica periodica.

Verifica prima dell’uso e verifica periodica

Oltre al controllo della scadenza, la verifica dei DPI richiede altri due tipi di controllo:

  1. prima dell’uso, da parte di ogni singolo lavoratore, che deve accertarsi che il dispositivo non presenti anomalie evidenti, tagli, rotture;
  2. una verifica periodica, in linea di massima annuale, da parte di un soggetto competente o da parte del fabbricante.

Il soggetto competente può essere il personale di un’impresa specializzata, diversa dal fabbricante, o anche un addetto interno all’impresa proprietaria del dispositivo. In ogni caso si deve essere in grado di dimostrarne la competenza che comprende (norma EN 365):

  • la capacità di identificare e valutare i difetti;
  • la conoscenza degli interventi necessari per correggerli;
  • la capacità tecnica e la disponibilità delle risorse per metterli in atto.

La scadenza della verifica periodica può essere aggiunta al registro in excel delle scadenze dei DPI, in modo da non moltiplicare i documenti e da avere tutte le scadenze sotto controllo con un colpo d’occhio.

Come verificare guanti e occhiali di protezione che i lavoratori cambiano con maggiore frequenza? E le mascherine filtranti e gli otoprotettori?

Come verificare i DPI di maggiore utilizzo?

Come verificare guanti e occhiali di protezione che i lavoratori cambiano con maggiore frequenza? E le mascherine filtranti e gli otoprotettori? In questo caso la semplice registrazione della riconsegna periodica dei DPI rappresenta la dimostrazione del mantenimento in efficienza dei dispositivi, senza necessità di registrazioni ulteriori. Quindi meglio non accontentarsi della registrazione della consegna dei DPI in fase di assunzione, ma fare in modo che i lavoratori sottoscrivano la ricezione dei dispositivi a ogni nuova fornitura.

A chi chiedere per la verifica dei DPI?

La prima risorsa è il venditore, che potrebbe avere contatti con il produttore (o essere il produttore) o con imprese specializzate.

Per quanto riguarda i DPI anticaduta si può chiedere alle imprese che si occupano della verifica trimestrale di catene e fasce di sollevamento. Non tutte lo fanno, ma chiedere non costa nulla, soprattutto se è già un fornitore.

Per quanto riguarda i DPI delle vie respiratorie, è probabile che chi si occupa di forniture antincendio offra anche il servizio di verifica dei DPI per le vie aeree. Come per i DPI anticaduta non è una certezza, ma una possibilità da accertare.

Chi è il responsabile privacy in azienda?

Ci sono diverse figure introdotte dal GDPR in relazione alla gestione della privacy in azienda ma in nessun caso si parla di "responsabile privacy": non esiste un unico soggetto che possa farsi carico in maniera esclusiva e autonoma della questione.

Per alcuni il responsabile privacy è l’ufficio del personale, per altri l’ufficio qualità (soprattutto se si tratta di aziende certificate), per altri è il legale rappresentante dell’impresa. Ci sono diverse figure introdotte dal GDPR in relazione alla gestione della privacy in azienda ma in nessun caso si parla di “responsabile privacy”: non esiste un unico soggetto che possa farsi carico in maniera esclusiva e autonoma della questione; la privacy è un aspetto dell’attività aziendale che richiede attenzione da parte di tutte (o quasi) le funzioni d’impresa.

Non esiste un ruolo di “responsabile privacy”

Il fatto che non parli di responsabile privacy non è un caso, e non è solo una questione di termini. Chi chiede o si chiede chi debba essere il responsabile privacy in un'organizzazione indica in realtà di non avere chiaro che cosa richieda il nuovo Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali.

Il GDPR parla di:

  • titolare del trattamento dei dati personali;
  • persone autorizzate al trattamento (o incaricati al trattamento);
  • responsabile del trattamento;
  • destinatario dei dati personali;
  • rappresentante del titolare dei dati personali;
  • interessato;
  • responsabile della protezione dei dati personali (DPO).

Il fatto che non parli di responsabile privacy non è un caso, e non è solo una questione di termini. Chi chiede o si chiede chi debba essere il responsabile privacy in un’organizzazione non ha chiaro che cosa richieda il nuovo Regolamento europeo.

L'obiettivo del Regolamento non è quello di mettere in capo a un unico soggetto tutte le questioni formali, ma di fare in modo che i diversi soggetti che trattano i dati personali nell'ambito di un'organizzazione lo facciano nel rispetto dei requisiti del GDPR.

L’obiettivo del Regolamento non è quello di mettere in capo a un unico soggetto tutte le questioni formali, ma di fare in modo che i diversi soggetti che trattano i dati personali nell’ambito di un’organizzazione lo facciano nel rispetto dei requisiti del GDPR.

Ovviamente il grado di responsabilità cambia a seconda che si parli del titolare del trattamento, delle persone autorizzate al trattamento o del DPO, per esempio, ma l’attività di valutazione iniziale svolta dal titolare e la definizione delle procedure per il corretto trattamento dei dati all’interno dell’organizzazione servono ben poco se le persone autorizzate non mettono in atto quanto è stato definito ed è stato loro insegnato.

La privacy come aspetto della gestione aziendale

La privacy non è un argomento che può essere affrontato prescindendo dal contesto aziendale, ma è un filo rosso di cui bisogna rintracciare il percorso attraverso gli uffici e le attività aziendali.

La privacy non è un argomento che può essere affrontato prescindendo dal contesto aziendale, ma è un filo rosso di cui bisogna rintracciare il percorso attraverso gli uffici e le attività aziendali, per poterne ricostruire una mappa, con tanto di segnali di pericolo, di obbligo e di divieto: a qualcuno spetterà disegnare la mappa, a qualcuno spetterà definire la segnaletica, e a tutti quelli che ne incroceranno la strada spetterà il compito di rispettarne le indicazioni.

La formazione aziendale: tutti vantaggi

La formazione aziendale è l'attività di formazione i cui contenuti sono costruiti su una realtà aziendale specifica.

La formazione aziendale è l’attività di formazione i cui contenuti sono costruiti su una realtà aziendale specifica. I corsi si possono tenere in azienda o presso un’ente di formazione, ma tra i partecipanti è presente solo il personale dipendente dall’azienda che ha organizzato la formazione, e possono essere relativi alla formazione obbligatoria oppure a percorsi creati per rispondere a esigenze o strategie imprenditoriali volontarie. Ma quali sono i vantaggi della formazione aziendale?

Personalizzazione

Che si tratti di formazione obbligatoria o di formazione realizzata per accrescere competenze specifiche del personale, il primo vantaggio della formazione aziendale è quello di consentire la piena personalizzazione dei contenuti.

Che si tratti di formazione obbligatoria o di formazione realizzata per accrescere competenze specifiche del personale, il primo vantaggio della formazione aziendale è quello di consentire la piena personalizzazione dei contenuti. La personalizzazione non riguarda solo gli argomenti da trattare, che in alcuni casi sono imposti dalla normativa, ma anche i dettagli operativi. Personalizzare consente di proporre esempi concreti, di parlare di questioni operative, passando subito dalla teoria alla pratica e mettendo a fuoco eventuali difficoltà applicative.

Pieno controllo dei contenuti

Avere il pieno controllo dei contenuti significa prima di tutto avere maggiori possibilità di mantenere alta l'attenzione dei corsisti.

Avere il pieno controllo dei contenuti significa prima di tutto avere maggiori possibilità di mantenere alta l’attenzione dei corsisti. I discenti sono adulti che sono incentivati a seguire la formazione se riescono a individuare le applicazioni immediate delle nozioni alla propria attività: gli argomenti non pertinenti rispetto alle loro esigenze sono facilmente percepiti come una perdita di tempo, e questa sensazione conduce rapidamente alla disattenzione. Contenuti poco pertinenti sono motivo di sfiducia verso il percorso di formazione e il docente. Laddove un contenuto non possa essere evitato per via di vincoli di legge, allora sarà il docente a dover individuare la modalità per presentarlo in modo che risulti di interesse. E qui ecco che arriviamo al vantaggio n.3 della formazione aziendale.

Scelta del formatore

La scelta del formatore non è mai secondaria, perché al di là delle qualifiche che possono essere necessarie, la formazione è efficace se chi conduce il corso è competente e ha adeguate capacità didattiche, ossia è in grado di gestire tutte le fasi del percorso di formazione e si impegna per favorire la comprensione e l’apprendimento da parte dei corsisti.

Ma come sostenere i costi della formazione aziendale?

La formazione risente sempre delle economie di scala: maggiore è il numero dei corsisti, minori sono i costi per partecipante. Ma è possibile pensare di sfruttare due strategie.

La formazione risente sempre delle economie di scala: maggiore è il numero dei corsisti, minori sono i costi per partecipante. Ma è possibile pensare di sfruttare due strategie:

  1. il finanziamento tramite Fondi interprofessionali o bandi specifici;
  2. la creazione di webcast, quindi di moduli di formazione in formato video, che si possono riproporre al personale di nuovo assunzione o in caso di cambio mansione, ammortizzando nel tempo i costi del percorso di formazione.

Ma è necessario il coinvolgimento della direzione?

L'esperienza del formatore può facilitare la progettazione dei percorsi di formazione aziendale, ma il coinvolgimento della direzione o, nelle realtà più strutturale, dell'ufficio del personale è necessario per avere garanzia che la personalizzazione dei contenuti sia effettiva e che la gerarchia dei contenuti sia corretta.

L’esperienza del formatore può facilitare la progettazione dei percorsi di formazione aziendale, ma il coinvolgimento della direzione o, nelle realtà più strutturale, dell’ufficio del personale è necessario per avere garanzia che la personalizzazione dei contenuti sia effettiva e che la gerarchia dei contenuti sia corretta. Al di là dell’impegno di tempo, però, si deve considerare il vantaggio che se ne ricava in termini di efficienza della formazione.

Il divieto di assunzione di alcol sul lavoro

Bisogna valutare e gestire attivamente il divieto di assunzione di alcol sul lavoro. A partire dai casi di ragionevole dubbio di ubriachezza.

La normativa ha introdotto a partire dal 2001 il divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche nelle attività lavorative a elevato rischio di infortunio o per la sicurezza, l’incolumità o la salute anche di terzi. Questo richiede non solo di valutare il rischio specifico nell’ambito del documento di valutazione dei rischi, ma anche di definire procedure che prevengano l’assunzione e la somministrazione e consentano una vigilanza continua sui lavoratori. Anche nei casi di ragionevole dubbio di ubriachezza.

Mansioni soggette a divieto di assunzione di alcol sul lavoro

Le attività lavorative a elevato rischio di infortunio o per la sicurezza, l’incolumità o la salute anche di terzi sono elencante nell’allegato 1 del Provvedimento del 16 marzo 2006 della Conferenza Stato- Regioni.

La normativa ha introdotto a partire dal 2001 il divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche nelle attività lavorative a elevato rischio di infortunio o per la sicurezza, l’incolumità o la salute anche di terzi.

Le riporto in forma sintetica:

  • impiego di gas tossici;
  • conduzione di generatori di vapore, attività di fochino, fabbricazione e uso di fuochi d’artificio, addetto e responsabile della produzione, confezionamento, detenzione, trasporto e vendita di esplosivi;
  • vendita di fitosanitari;
  • direzione tecnica, conduzione e manutenzione di impianti nucleari;
  • manutenzione  degli  ascensori;
  • dirigenti  e  preposti al controllo dei processi produttivi e alla  sorveglianza  dei sistemi di sicurezza negli impianti a rischio di  incidenti  rilevanti;
  • sovrintendenza ai lavori in ambienti confinato e/o sospetti di inquinamento;
  • mansioni sanitarie, sociali e socio-sanitarie svolte in strutture pubbliche e private;
  • attività di insegnamento nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado;
  • mansioni comportanti l’obbligo di porto d’armi;
  • addetti alla guida di veicoli stradali e non (metropolitane, funivie, tramvie, trasporto ferroviario, marittimo e aereo, macchine movimento terra e merci), conduttori di mezzi di sollevamento e responsabili dei fari;
  • lavoratori addetti ai comparti dell’edilizia e delle costruzioni e tutte le mansioni che prevedono attività in quota (oltre i 2 m di altezza);
  • capiforno e conduttori addetti ai forni di fusione;
  • operatori e addetti a sostanze potenzialmente esplosive e infiammabili, settore idrocarburi;
  • tutte le mansioni che si svolgono in cave e miniere.
Si deve escludere la possibilità di richiedere e acquistare alcolici e superalcolici nell'ambito delle mense aziendali o nelle strutture convenzionate.

Che cosa fare in pratica

Si parte dal DVR aziendale individuando le mansioni e le attività che ricadano nel divieto di assunzione e somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, e a seguire:

  1. ci si interfaccia con il medico competente perché esegua gli accertamenti necessari nell’ambito della sorveglianza sanitaria;
  2. si informano i lavoratori del divieto di assunzione, precisando che questo significa non poter assumere bevande alcoliche e superalcoliche nemmeno prima dell’inizio del turno lavorativo o nelle pause di lavoro;
  3. si deve escludere la possibilità di richiedere e acquistare alcolici e superalcolici nell’ambito delle mense aziendali o nelle strutture convenzionate;
  4. si deve prevedere l’obbligo di segnalare le violazioni di cui si venisse a conoscenza (ex. si è testimoni dell’assunzione di alcolici in ambiente di lavoro o in pausa pranzo);
  5. si informano gli interessati che il mancato rispetto del divieto di assunzione è passibile di sanzioni disciplinari, amministrative e penali, a seconda del luogo e della modalità con la quale viene rilevata la violazione.

In caso di ragionevole dubbio di ubriachezza

Se il lavoratore si presenta al lavoro con alitosi alcolica, rallentamento nell'espressione verbale, andatura vacillante, scarsa o limitata coordinazione, oppure presenta comportamenti rischiosi, elevata e ingiustificata litigiosità o, ancora, esegue azioni contrastanti con le procedure di sicurezza aziendale, ci si trova ad affrontare un caso di ragionevole dubbio di ubriachezza.

Se il lavoratore si presenta al lavoro con alitosi alcolica, rallentamento nell’espressione verbale, andatura vacillante, scarsa o limitata coordinazione, oppure presenta comportamenti rischiosi, elevata e ingiustificata litigiosità o, ancora, esegue azioni contrastanti con le procedure di sicurezza aziendale, ci si trova ad affrontare un caso di ragionevole dubbio di ubriachezza.

La prima misura da mettere in atto è la richiesta al lavoratore di astenersi dall’esecuzione di ogni mansione ritenuta pericolosa per lui o per terzi, fino a che non risulti ristabilita una condizione di controllo o benessere. L’allontanamento dal luogo di lavoro, invece, può avvenire solo in caso di consenso del lavoratore, in caso contrario la sospensione dal lavoro può essere oggetto di contestazione da parte del lavoratore; e l’allontanamento deve essere gestito al fine di garantire la sicurezza del lavoratore, eventualmente accompagnandolo a casa o affidandolo alle cure di terzi (parenti).

Se si hanno timori in relazione allo stato di salute o alla possibilità che il lavoratore commetta azioni dannose per sé o per terzi, è opportuno richiedere l'intervento dei soccorsi esterni e/o delle forze dell'ordine.

Se si hanno timori in relazione allo stato di salute o alla possibilità che il lavoratore commetta azioni dannose per sé o per terzi, è opportuno richiedere l’intervento dei soccorsi esterni e/o delle forze dell’ordine, tra cui poteri vi è anche la facoltà di accertare mediante alcoltest l’effettivo stato di ubriachezza del lavoratore.

Il ragionevole dubbio di ubriachezza non è di per sé sufficiente a giustificare un procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore, azione che può essere avviata solo sulla base di un effettivo accertamento del mancato rispetto del divieto di assunzione di alcol sul lavoro, quindi solo a seguito di alcoltest con esito positivo.

Servizi fotografici aziendali e consenso privacy

I servizi fotografici aziendali determinano l'acquisizione di immagini fotografiche o riprese video che ritraggono dipendenti, clienti o visitatori, e, per tale ragione, richiedono di essere gestiti in termini di privacy.

I servizi fotografici aziendali determinano l’acquisizione di immagini fotografiche o riprese video che ritraggono dipendenti, clienti o visitatori e costituiscono dati personali, da gestire in termini di privacy.

In particolare, anche se i dati personali sono acquisiti per predisporre materiale promozionale, divulgativo e di comunicazione, quindi il trattamento avviene in modo lecito per il perseguimento del legittimo interesse del titolare, è necessario il consenso espresso da parte del soggetto interessato, perché così prevede la legge sul diritto d’autore. L’unica eccezione è il caso in cui “la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico“.

Privacy e servizi fotografici aziendali

Le immagini che ritraggono dipendenti, collaboratori, visitatori e clienti sono dati personali e, in quanto tali, devono essere gestiti secondo nel rispetto delle regole definite dal Regolamento europeo 2016/679.

Fotografie, video e materiali multimediali possono essere realizzati da un’azienda per comunicare la propria attività e professionalità verso l’esterno, caricando il materiale sul sito aziendale e le piattaforme social (ex. Facebook, Instagram, LinkedIn, YouTube), inviandolo alla stampa o inserendolo nel proprio materiale pubblicitario (ex. depliant e brochure).

Le immagini che ritraggono dipendenti, collaboratori, visitatori e clienti sono dati personali e, in quanto tali, devono essere gestiti nel rispetto delle regole definite dal Regolamento europeo 2016/679.

La liceità del trattamento e il diritto d’autore

Nel caso delle immagini che ritraggono persone, i requisiti del GDPR si combinano con quelli della sezione II (Diritti relativi al ritratto) della legge n.633/41 sul diritto d'autore.

Perché un trattamento di dati personali possa essere effettuato, è necessario che sia determinato da una delle ragioni previste dalla normativa (base giuridica del trattamento).

Nel caso specifico, la motivazione che sta alla base del trattamento dei dati è la promozione dell’attività dell’impresa, che equivale al perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento dei dati e che è una base giuridica ammessa dal GDPR. Allo stesso tempo, però, i requisiti del Regolamento si combinano con quelli della sezione II (Diritti relativi al ritratto) della legge n.633/41, conosciuta come legge sul diritto d’autore.

Art. 96

Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente.

[…]

Art. 97

Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o colturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.

Non è previsto l'obbligo di consenso espresso da parte dell'interessato in caso di riproduzione collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Come si deve procedere?

L’informativa sul trattamento dei dati personali non deve mai mancare: il titolare del trattamento deve informare l’interessato in merito ai dettagli relativi all’utilizzo dei suoi dati e ai suoi diritti. Ricordo che l’informativa può includere una sezione per esprimere il consenso al trattamento ma non nasce con questa finalità.

Quindi, oltre a predisporre l’informativa relativa al trattamento delle immagini ed è necessario prevedere un modulo di consenso, eventualmente come parte terminale dell’informativa.

In relazione ai casi in cui non è previsto l’obbligo di consenso (riproduzione collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico), l’interessato deve comunque essere informato del trattamento quindi è opportuno inserire nell’informativa sul trattamento delle immagini i dettagli relativi.

oltre a predisporre l'informativa relativa al trattamento delle immagini ed è necessario prevedere un modulo di consenso, eventualmente come parte terminale dell'informativa.

Ti lascio un esempio.

“Nel caso di eventi pubblici quali, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, conferenze stampa, eventi pubblici o manifestazioni pubbliche alle quali l’impresa dovesse prendere parte, non è necessario il consenso espresso da parte del soggetto interessato che si presenta presso i luoghi e gli spazi (ex. sale convegni, ambienti sia in interno che in esterno presso i quali si svolgono eventi – sale comunali, spazi cittadini, ecc.) nei quali è stato attivato un servizio di riprese fotografiche o video.

L’attivazione di tali attività video/fotografiche sarà chiaramente identificata con apposita segnaletica.

Al di fuori della fattispecie suddetta, gli interessati potranno esprimere il proprio consenso al trattamento dei dati mediante compilazione della sezione conclusiva della presente informativa.”

Qual è la formazione per i lavori in quota?

I lavori in quota espongo al rischio di caduta dall'alto, che deve essere oggetto di formazione specifica, ma non esistono obblighi in merito a un corso " lavori in quota" quanto a quelli relativi ai dispositivi o alle attrezzature che si utilizzano ai fini della gestione del rischio di caduta.

Partendo dal presupposto che i lavori in quota espongo al rischio di caduta dall’alto, che deve essere oggetto di formazione specifica, è vero però che non esistono obblighi in merito a un corso “ lavori in quota” quanto, piuttosto, a quelli relativi ai dispositivi o alle attrezzature che si utilizzano ai fini della gestione del rischio di caduta.

Mi spiego meglio.

Premessa

Si parla di lavori in quota (art. 107 D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii), in ambito di cantiere e in ambito produttivo, quando il lavoratore è esposto a una rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto a un piano stabile: non importa a quale quota si trovi a operare il lavoratore, importa “il dislivello” tra il piano di lavoro e il piano stabile.

Si parla di lavori in quota (art. 107 D. L.vo 81/08 e ss.mm.ii), in ambito di cantiere e in ambito produttivo,  quando il lavoratore è esposto a una rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto a un piano stabile.

Gli strumenti per gestire il rischio di caduta dall’alto

La normativa prevede che il rischio sia gestito secondo una scala di priorità:

  1. scegliendo le attrezzature più adeguate rispetto all’ambiente di lavoro e all’attività da eseguire;
  2. privilegiando le misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
  3. scegliendo la modalità di accesso in quota più sicura in funzione di frequenza di circolazione, dislivello, durata dell’impiego e possibilità di evacuazione in caso di pericolo imminente;
  4. evitando lo svolgimento delle attività se le condizioni meteorologiche sono avverse;
  5. vietando l’assunzione e la somministrare di bevande alcoliche e superalcoliche agli operatori.
Non esiste un articolo di legge che parli del corso per lavori in quota, al contrario sono previsti corsi relativi all'utilizzo delle attrezzature, dei dispositivi e delle procedure di lavoro necessarie alla gestione del rischio di caduta dall'alto che è presente in questa tipologia di lavori.

Obblighi di formazione per i lavori in quota

Non esiste un articolo di legge che parli del corso per lavori in quota, al contrario sono previsti corsi relativi all’utilizzo delle attrezzature, dei dispositivi e delle procedure di lavoro necessarie alla gestione del rischio di caduta dall’alto che è presente in questa tipologia di lavori, e cioè:

  1. il posizionamento mediante funi (art. 116 e allegato XXI del D. L.vo 18/08);
  2. l’utilizzo dei DPI anticaduta (artt. 115 e 77 del D. L.vo 18/08);
  3. il montaggio, l’uso, la trasformazione e lo smontaggio dei ponteggi (art. 136 e allegato XXI del D. L.vo 18/08) con la specifica presenza di un preposto con funzione di sorveglianza (artt. 136 e 37 del D. L.vo 18/08).

Resta fermo il fatto che i lavori in quota espongono al rischio di caduta dall’alto che è un argomento previsto nella formazione specifica, il modulo di 4, 8 o 12 ore che insieme alla formazione generale completa la formazione “base” dei lavoratori.

In pratica, quale corso serve per i lavori in quota?

L’importante non è il nome ma il contenuto e per scegliere il corso corretto si seguono due strade:

  1. il lavoratore ha il modulo di formazione specifica che comprende il rischio di caduta dall’alto? Allora per lavorare in quota dovrà frequentare i corsi aggiuntivi relativi alle attrezzature e ai DPI che dovrà utilizzare, oltre a quello di preposto se svolge questa funzione;
  2. il lavoratore non ha una formazione specifica sul rischio di caduta dall’alto? Allora deve partecipare a un corso aggiuntivo sul rischio specifico, che può valere come aggiornamento della formazione specifica, può comprendere la formazione sui DPI e può chiamarsi “corso lavori in quota”. Ma questo non lo esonera dal dover frequentare i corsi per il posizionamento mediate funi, i ponteggi e la funzione di preposto, a seconda del ruolo che svolge e degli strumenti e alle procedure di lavoro a cui ricorre.

Abbastanza chiaro? In caso di dubbi, scrivimi!

La gestione dei documenti e la condivisione

Che cosa c'entrano la gestione dei documenti e la loro condivisione con formazione, sicurezza e privacy?

Che cosa c’entra la gestione dei documenti con formazione, sicurezza e privacy? E la loro condivisione poi?

C’entrano, c’entrano. Per almeno tre buoni motivi:

  1. senza i documenti non si può dimostrare nulla;
  2. senza i documenti non si conoscono le scadenze da tenere sotto controllo per rimanere in regola;
  3. non passa giorno senza che qualcuno chieda un documento che riguarda la sicurezza, la formazione del personale o la privacy.

L’ABC della gestione dei documenti

Gestire i documenti significa sapere dove sono, tenerne sotto controllo la scadenza, avere a portata di mano quelli aggiornati.

Gestire i documenti significa sapere dove sono, se riportano una scadenza da tenere sotto controllo o se hanno una scadenza anche se non ce l’hanno scritta sopra, avere a portata di mano quelli aggiornati ed evitare di inviare o consegnare a chi ce li chiede la versione sbagliata, quella vecchia e superata, che, però, deve essere conservata per un certo tempo. E dico “un certo tempo” perché i vincoli di conservazione dei documenti posso variare, ma i 10 anni sono un po’ lo spartiacque definitivo.

Sembra facile, soprattutto per chi ha avuto un’esperienza, anche breve, con i sistemi di gestione. E invece.

Esigenze più immediate

Ogni azienda ha esigenze specifiche in funzione dell’attività, della dimensione, della struttura e dell’organizzazione, ma tutte ne hanno almeno due in comune:

  1. tenere sotto controllo le scadenze;
  2. condividere gli stessi documenti con più persone, anche esterne all’impresa.

Soluzioni

Partiamo dalla scadenze.

Ogni azienda ha esigenze specifiche in funzione dell'attività, della dimensione, della struttura e dell'organizzazione, ma tutte hanno almeno due esigenze comuni: tenere sotto controllo le scadenze e condividere gli stessi documenti con più persone, anche esterne all'impresa.

Scrivere nel nome del file la data di scadenza funziona solo per poche scadenze e per file che vengono visionati frequentemente. In breve: non è una strategia sostenibile.

Raccogliere le scadenze in uno o più file excel è il punto di partenza: un unico file da aprire spesso (anche se non volentieri), eventualmente con più fogli, uno per argomento (1. formazione, 2. visite mediche, 3. verifica delle attrezzature, 4. documento di valutazione dei rischi, 5. manutenzioni impianti, …). E magari si impara anche a impostare la regola per fare in modo che le celle con scadenze in scadenza (ops!) si colorino prima che sia troppo tardi.

Poi sì, ci sono i gestionali aziendali oppure sistemi di gestione dei documenti online. Se ne possono recuperare elenchi infiniti, da marchi notissimi ad altri meno noti, ma qui sono necessari investimenti e uno sguardo ampio alle esigenze dell’impresa, non solo a quelle che riguardano sicurezza sul lavoro o privacy.

Arriviamo alla condivisione dei documenti.

Cartelle condivise di Google Drive e di Dropbox sono la soluzione gratuita alla portata di tutti per avere accesso ai documenti anche fuori dalla sede aziendale.

Qui viene in aiuto la tecnologia.

Cartelle condivise di Google Drive e di Dropbox sono la soluzione gratuita alla portata di tutti (salvo esigenze di spazio per moli di file importanti) e con almeno due vantaggi:

  1. l’assoluta personalizzazione dell’archivio, che significa poter creare le cartelle che si vogliono e come si vogliono;
  2. la possibilità di definire il tipo di condivisione, quindi se chi accede alla cartella e ai documenti ha solo la possibilità di visualizzare o anche di modificare i file condivisi.

Il problema è che sta all’utente decidere che cosa gli serve e che cosa no e ricordarsi di mantenere aggiornati i documenti.

Anche in questo caso non mancano gestionali e software, anche con app per il telefono, che uniscono condivisione dei documenti e gestione delle scadenze, ma il servizio è a pagamento, a meno che non si tratti di strumenti promossi a livello territoriale, come nel caso del portale Check della Cassa edile di Brescia.

Problemi ne abbiamo?

Se si decide di entrare nel mondo dei gestionali  e dei software di gestione dei documenti, è necessario mettere in conto un investimento iniziale di tempo per caricare tutti i documenti e i dati di interesse.

Sono onestissima e dico che possono essere due.

Se si decide di entrare nel mondo dei gestionali e dei software di gestione dei documenti, è necessario mettere in conto un investimento iniziale di tempo per caricare tutti i documenti e i dati di interesse e impostare le scadenze. Il risparmio di tempo arriva dopo però!

Per ultimo l’aspetto più antipatico, per concludere col botto. Nell’affrontare l’esigenza di gestione di documenti e scadenze, ogni impresa si muove facendo valutazioni di convenienza interna, con il risultato che ciascuno utilizza metodi e strumenti diversi che raramente comunicano tra loro. Questo significa che può capitare di dover ripetere una parte del lavoro fatto al proprio interno (caricamento dati e documenti e impostazione scadenze) per rendere disponibili e verificabili i propri documenti a soggetti terzi che hanno stabilito un proprio metodo di raccolta e verifica.

Medico competente: responsabile o titolare del trattamento?

Lo scorso 23 giugno il Garante per la protezione dei dati personali ha presentato la Relazione annuale sulle attività svolte nel 2019. Si parte dai numeri e si scende poi nei dettagli con paragrafi descrittivi di approfondimento. Il n. 13.14, intitolato “I trattamenti di dati da parte del medico competente” affronta in modo esplicito e definitivo la questione della posizione del medico competente nell’ambito del sistema di gestione della privacy aziendale. Tra chi considerava il medico competente un responsabile esterno al trattamento e chi lo riteneva un titolare del trattamento sono i secondi a ricevere la conferma espressa da parte del Garante.

Il medico competente come autonomo titolare

Il Garante lo dice chiaramente:

“il Garante ha tradizionalmente considerato il medico competente un autonomo titolare e, nonostante gli accertamenti volti a verificare l’idoneità alla mansione specifica del dipendente siano obbligatori per legge e svolti a spese e a cura del datore di lavoro (artt. 39, comma 5 e 41, comma 4, d.lgs. n. 81/2008), essi devono essere effettuati esclusivamente tramite il professionista. Egli è, infatti, l’unico soggetto legittimato a trattare i dati sanitari dei lavoratori per le finalità indicate dalla disciplina di settore…”

La questione non è legata alla presenza di un incarico conferito dal datore di lavoro al professionista, ma al fatto che il professionista è l’unico legittimato ex lege a trattare in piena autonomia e competenza tecnica i dati personali di natura sanitaria.

La questione, in sostanza, non è legata alla presenza di un incarico conferito dal datore di lavoro al professionista, ma al fatto che “nello svolgimento dei compiti che la legge gli attribuisce in via esclusiva (attività di sorveglianza sanitaria e tenuta delle cartelle sanitarie e di rischio dei singoli lavoratori), il professionista è l’unico legittimato ex lege a trattare in piena autonomia e competenza tecnica i dati personali di natura sanitaria indispensabili
per tale finalità, non potendo essere in alcun modo trattate dal datore di lavoro informazioni relative, ad esempio, alla diagnosi o all’anamnesi familiare del lavoratore, se non con riferimento al solo giudizio di idoneità alla mansione specifica ed alle eventuali prescrizioni che il professionista fissa come condizioni di lavoro
“.

E non è la tipologia di rapporto tra professionista sanitario e datore di lavoro a influire sulla posizione del medico competente come titolare del trattamento:

“Anche sotto il profilo sanzionatorio, il quadro normativo nazionale distingue chiaramente le responsabilità che ricadono sul datore di lavoro da quelle che invece sono direttamente imputabili al medico competente, sia quando opera in qualità di libero professionista o per conto di strutture convenzionate, sia quando opera in qualità di dipendente del datore di lavoro.”

Non solo non è necessario nominare il medico competente quale responsabile esterno al trattamento dei dati personali, ma questa nomina non risulta corretta dal punto di vista normativo.

Quindi? Quindi non solo non è necessario nominare il medico competente quale responsabile esterno al trattamento dei dati personali, ma questa nomina non risulta corretta dal punto di vista normativo ed è opportuno eliminarla, aggiornando anche la documentazione che descrive la modalità di gestione dalla privacy in azienda che dovesse contenere riferimenti al ruolo del medico competente e lo citasse come responsabile esterno anziché come titolare (ex. DPIA o registro dei trattamenti).

La scelta del formatore sicurezza

In molti casi la scelta del formatore sicurezza è tutta responsabilità delle società e degli enti di formazione ai quali i datori di lavoro si rivolgono per organizzare i corsi per i propri lavoratori. Non mancano però i casi in cui i datori di lavoro fanno riferimento in modo diretto ai propri consulenti di fiducia per organizzare la formazione in azienda, affidando quindi l’attività direttamente ai professionisti. In entrambi i casi la verifica del possesso di requisiti tecnici (qualifica di formatore) è il primo passo per scegliere il docente, ma il consiglio è di fare valutazioni anche di carattere relazionale o di capacità didattica.

La qualifica di formatore sicurezza

Dall’entrata in vigore del D.M. del 6 marzo 2013 (18.03.2014) sono passati oramai sei anni e l’idea che per svolgere buona parte della formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia necessario possedere requisiti di istruzione o esperienza e di formazione specifici si è diffusa.

La verifica del possesso di requisiti tecnici (qualifica di formatore sicurezza) è il primo passo per scegliere il docente, ma il consiglio è di fare valutazioni anche di carattere relazionale o di capacità didattica.

La domanda a volte è generica, più un «Ma tu puoi farli i corsi sicurezza?» che un «Sei qualificato come formatore sicurezza? Per quali corsi?», ma comunque efficace: rivela la consapevolezza che il formatore debba essere in grado di dimostrare di essere in possesso di titoli di studio, esperienza e formazione specifica, in costante aggiornamento.

L’invito ai datori di lavoro è quello a spingersi fino alla richiesta ai professionisti della documentazione che dimostri il possesso della qualifica, mentre ai formatori l’invito è a essere i promotori della verifica da parte del cliente.

La qualità del formatore

Chiunque abbia partecipato a un’attività formativa sa bene che il suo successo non sta tanto nel contenuto quanto nella capacità del docente di presentarlo.

Chiunque abbia partecipato a un'attività formativa sa bene che il suo successo non sta tanto nel contenuto quanto nella capacità del docente di presentarlo.

Il Decreto del 6 marzo 2013 introduce il tema prevedendo sempre un requisito di “capacità didattica” dei formatori sicurezza, che può essere soddisfatto attraverso la frequenza di un percorso formativo in didattica (corso 24 ore o abilitazione all’insegnamento o percorso universitario in comunicazione) o grazie all’esperienza maturata come docente o in affiancamento.

L’idea di fondo è che il docente, oltre a conoscere la materia trattata, debba essere anche in grado di gestire le persone in aula e il tempo, di mantenere alta l’attenzione, di riformulare i propri contenuti in funzione del pubblico e delle domande che gli vengono rivolte, per avere garanzia che i contenuti siano compresi e appresi dai discenti.

Gli enti di formazione provvedono a valutare le capacità didattiche del docente in modo diretto (prendendo parte ai corsi tenuti dal formatore) o indiretto (attraverso i questionari di soddisfazione), mentre in caso di affidamento diretto dell’incarico di formatore sicurezza da parte dell’azienda questa valutazione tende a essere dimenticata.

L'idea di fondo è che il docente, oltre a conoscere la materia trattata, debba essere anche in grado di gestire le persone in aula e il tempo, di mantenere alta l'attenzione, di riformulare i propri contenuti in funzione del pubblico e delle domande che gli vengono rivolte, per avere garanzia che i contenuti siano compresi e appresi dai discenti.

Il datore di lavoro può utilizzare gli stessi metodi adottati dagli enti di formazione con almeno tre vantaggi:

  1. la presenza del datore di lavoro o di un suo rappresentante ai percorsi di formazione fa sì che il personale percepisca la rilevanza dell’attività e sia più partecipe;
  2. il datore di lavoro o un suo rappresentante possono evidenziare incongruenze tra le nozioni trasmesse e la pratica aziendale e favorire/imporre la correzione di procedure e comportamenti, con una ricaduta immediata della formazione nella pratica quotidiana;
  3. l’azienda procede alla qualifica del fornitore, valutando la sua adeguatezza o la necessità della sua sostituzione (ovviando così alla noia o al disinteresse del personale).

Esiste una forma di valutazione preventiva della capacità didattica? Direi di sì, anche se non è sempre efficace: il colloquio preliminare all’erogazione della formazione, per mettere a punto i contenuti in funzione dell’attività aziendale e dei lavoratori coinvolti in termini di ruolo e mansioni, la verifica della disponibilità delle attrezzature e degli spazi, rivela molto dell’attenzione del docente per gli aspetti che vanno al di là delle nozioni tecniche.

A che cosa servono i fondi interprofessionali?

I fondi interprofessionali servono per finanziare la formazione obbligatoria e non del personale con fondi già versati dall'impresa o con fondi aggiuntivi.

Se la formazione è un investimento, allora perché non finanziarlo a tasso zero? Ecco a che cosa servono i fondi interprofessionali: a finanziare la formazione del personale aziendale, obbligatoria e non, con fondi già versati dall’impresa e, a volte, con fondi aggiuntivi messi a disposizione dai fondi stessi. Ma facciamo un passo alla volta.

Che cosa sono i fondi interprofessionali

Con questa espressione si fa riferimento ai Fondi paritetici interprofessionali nazionali
per la formazione continua
, organizzazioni autorizzate dal Ministero del Lavoro la cui finalità è quella di promuovere la formazione dei lavoratori attraverso uno specifico meccanismo di finanziamento dei corsi.

Come avviene il finanziamento della formazione

Le aziende possono decidere di aderire a uno dei fondi attivi attraverso il flusso Uniemes, vedendo quindi accantonati i fondi da lei versati in un conto aziendale.

Tra i contributi versati a INPS dai datori di lavoro è compreso il contributo integrativo per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, pari allo 0,30% dei contributi versati. Questo elemento della contribuzione può essere restituito, dedotti i costi amministrativi, ai fondi interprofessionali.

Le aziende possono decidere di aderire a uno dei fondi attivi attraverso il flusso Uniemes, vedendo quindi accantonati i fondi da loro versati in un conto aziendale, a disposizione per sostenere percorsi formativi aziendali.

Per le realtà di piccole dimensioni per le quali i fondi accantonanti sono esigui, vi è la possibilità di sfruttare i cosiddetti “Avvisi” emanati dal fondo a cui ciascuna impresa ha deciso di aderire, che possono coinvolgere più imprese appartenenti a un dato settore o una data area geografica (conti di sistema).

Quale formazione si può finanziare?

Dipende dal fondo al quale si aderisce e dalla modalità di finanziamento del corso (conto aziendale o di sistema). In termini generali si può finanziare la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro e ogni altro percorso di formazione finalizzato a favorire lo sviluppo di competenze e professionalità.

In termini generali si può finanziare la formazione obbligatoria in materia di salute e sicurezza sul lavoro e ogni altro percorso di formazione finalizzato a favorire lo sviluppo di competenze e professionalità.

Attenzione

Quattro gli aspetti ai quali prestare attenzione:

  1. è possibile passare da un fondo all’altro, disdicendo l’adesione a un fondo e richiedendo l’adesione a un altro fondo, ma è sempre opportuno verificare che i fondi interessati nel passaggio consentano di trasferire i fondi accantonati, altrimenti può essere il caso di esaurire i fondi maturati prima di procedere alla variazione;
  2. ogni fondo presenta regole specifiche, quindi prima di fare cambiamenti è buona cosa valutare l’adeguatezza del fondo rispetto alle esigenze e alle caratteristiche dell’azienda;
  3. i tempi di approvazione dei piani formativi non sono sempre rapidi, per cui la programmazione della formazione unita al monitoraggio di conto aziendale ed eventuali avvisi pubblicati da fondo non vanno trascurati;
  4. la presentazione dei piani e la relativa rendicontazione non sono attività banali e da prendere alla leggera, soprattutto nei casi in cui l’azienda deve prima pagare le attività formative e ottiene poi la restituzione delle cifre dal fondo interessato.

AAA consulente cercasi

Il mondo dei fondi interprofessionali ha la sua complessità e quindi, sì, ci sono consulenti che aiutano a orientarsi nella scelta del fondo più adeguato e nella gestione dei piani formativi.

Il mondo dei fondi interprofessionali ha la sua complessità e quindi, sì, ci sono consulenti che aiutano a orientarsi nella scelta del fondo più adeguato e nella gestione dei piani formativi. Stai cercando proprio uno di loro? Scrivimi o chiamami e sarà un piacere mettervi in contatto.